Perry Anderson *
Sviluppo storico dell’istituzione meno conosciuta della Ue, tribunale con un’agenda che non corrispondeva alle intenzioni dei suoi fondatori
Quantitativamente parlando, lo spostamento del centro di gravità del lavoro sull’Ue dall’America alla stessa Europa è stato il prodotto di un’industria accademica ormai vasta: circa cinquecento cattedre Jean Monnet sono attualmente presenti in tutta l’Unione. In mezzo a un mare di conformismo, è emerso un gruppo di pensatori le cui opere rappresentano un progresso qualitativo nella comprensione critica dell’Unione. Animati da un’indipendenza di spirito più vicina a intellettuali ‘tradizionali’ come Gramsci, che non alla variante ‘organica’ rappresentata da Luuk van Middelaar, costoro non si trovano a coprire incarichi nelle posizioni ufficiali; non formano una scuola di pensiero collettiva; e sono di diversa estrazione nazionale e generazionale. Un breve elenco includerebbe Giandomenico Majone (Italia), teorico dell’amministrazione pubblica; i giuristi Dieter Grimm (Germania) e Thomas Horsley (Gran Bretagna); i sociologi Claus Offe e Wolfgang Streeck (Germania); gli analisti politici Christopher Bickerton (Gran Bretagna), Morten Rasmussen (Danimarca) e Antoine Vauchez (Francia); gli storici Kiran Klaus Patel (Germania) e Vera Fritz (Lussemburgo). Nel lavoro di questi e altri studiosi, le dinamiche dell’integrazione europea emergono in una luce più fredda e più indagatrice rispetto ai panegirici di van Middelaar, rivelando ciò che questi omettono e scrutandone i contenuti con una lente più precisa.
L’Unione, come la conosciamo oggi, è un’organizzazione complessa composta da cinque istituzioni principali: la Commissione europea, la Corte di Giustizia europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo e la Banca centrale europea. Si può iniziare l’analisi prendendo in considerazione l’espressione che convenzionalmente definisce la storia del suo sviluppo: “integrazione europea”. Questa espressione, come ha mostrato Patel, proviene dagli Stati Uniti ed è stata adottata per evitare un altro termine troppo caratterizzato dagli scopi tattici della politica degli anni ‘50. La parola che ha sostituito era “federazione”, termine rifiutato dai governi e dai centri di interessi esistenti allora, anche se sostenuto con ardore da una piccola ma impegnata minoranza di attivisti. Per i governi e per i loro simpatizzanti accademici, “integrazione” era un termine più neutro per indicare il progresso verso un ideale, per il momento, mantenuto in pectore. In nessun campo è stato più utile che nel lavoro della Corte di Giustizia, che è stata, come sottolinea van Middelaar, la prima promotrice del “passaggio all’Europa” dopo il Trattato di Roma.
Oggi la Corte resta, tra tutte le istituzioni dell’Unione, la più nascosta al pubblico. Situata con discrezione in Lussemburgo, non esattamente un crocevia europeo, e composta da giudici nominati – uno per Paese – dagli Stati membri, i suoi procedimenti sono nascosti agli occhi del pubblico; le sue decisioni non consentono la menzione dell’opinione dissenziente; i suoi archivi garantiscono un accesso minimo ai ricercatori…
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*Storico accademico e saggista britannico. Questo intervento è stato pubblicato sulla London Review of Books, Volume 43, n. 1, gennaio 2021; qui l’articolo in lingua inglese, dove si può consultare anche la bibliografia https://www.lrb.co.uk/the-paper/v43/n01/perry-anderson/ever-closer-union