San Patrignano: politica, documentario, Storia: la consegna di una falsa memoria dei fatti e dell’epoca. La legge sulle droghe del 1975, Stato penale vs Stato sociale e la battaglia politico-culturale che si giocò sui diritti civili conquistati negli anni Settanta
La Storia è conflitto tra verità, interpretazioni e memorie. Chi ha il potere stabilisce ciò che è da considerarsi verità e impone le proprie interpretazioni come universali. Dentro questo interminabile conflitto, i dominati possono contare solo sulla propria memoria e sulla contronarrazione per poterla comunicare. La rimozione dei contesti e la riduzione delle complessità e dinamiche della Storia sono la premessa di ogni operazione di riscrittura e revisione di ciò che è stato. Una tecnica in Italia più che collaudata in particolare riguardo le vicende degli anni Settanta, ma che funziona in generale. La miniserie SanPa, che tanto sta facendo discutere, non si è sottratta a questa regola e tendenza.
Al filmato disponibile su Netflix, articolato in cinque puntate per una durata complessiva di 301 minuti, va riconosciuto un indubbio merito: quello di aver riaperto la riflessione e il dibattito non tanto e non solo sulla comunità terapeutica fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978 quanto sulla questione delle droghe, da tempo rimossa dall’attenzione pubblica e dall’affrontamento politico e istituzionale. Basti dire che la Conferenza governativa che ha il compito di verificare e indirizzare le politiche in materia non viene più effettuata dal 2009, in violazione della legge che la prevede ogni tre anni.
La tossicodipendenza oggi
Una inadempienza tanto più grave stante la permanenza di drammaticità ed estensione del problema. Secondo le fonti ufficiali, nel 2019 (ultimo dato disponibile) le morti per intossicazione acuta da droghe sono state 373, di cui 169 dovute all’uso di eroina, in aumento del 11% sull’anno precedente, che già aveva visto una crescita del 17% rispetto al 2017. Lo stesso Dipartimento per le politiche antidroga istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nella propria relazione annuale al Parlamento, specifica peraltro che tale cifra è inferiore alla realtà, in quanto si riferisce solo alle morti attribuite in via diretta all’assunzione di droghe e ai casi per i quali sono state interessate le forze di polizia.
Nel complesso, e con questa avvertenza, negli ultimi vent’anni i decessi correlati agli stupefacenti assommano a 9.718. Si consideri che nel 1985, l’anno del famoso “processo delle catene”, ricostruito nel documentario e che vide imputato e condannato in primo grado Muccioli, i decessi per droga erano stati 242. La questione, beninteso, non riguarda solo o particolarmente il nostro Paese: secondo l’Osservatorio europeo sulle droghe, nel 2018 i decessi per overdose nell’Unione sono stati 8.300. In Italia, nel corso del 2019, i 6.624 operatori dei 562 Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) hanno assistito complessivamente 136.320 persone, mentre i servizi gestiti dal cosiddetto ‘Privato Sociale’ – ben 821 quelli registrati – al 31 dicembre 2019 avevano in carico 16.352 persone, la maggior parte (11.117) inseriti in strutture terapeutiche residenziali.
Pur nelle differenze anche significative riguardo le sostanze oggi utilizzate, il loro mercato e le modalità di consumo, il quadro attuale delle droghe e delle dipendenze, insomma, ha dimensioni che dovrebbero allarmare, oltre che indurre adeguate risposte a livello politico e sociale. Eppure, il problema rimane pressoché invisibile e non rilevato nella informazione e consapevolezza pubblica.
Benvenuto, dunque, il documentario SanPa, che ha saputo risvegliare l’attenzione del distratto e omissivo sistema mediatico, se riuscirà davvero a provocare una riflessione che vada oltre il soggettivo dosaggio delle ‘luci’ e delle ‘ombre’ e un dibattito che esca dalle personalizzazioni per addentrarsi nella questione droghe (e politiche sulle droghe) in generale e, in specifico, nell’analisi dei modelli e delle culture che presiedevano e presiedono alle risposte terapeutiche.
Di cosa stiamo parlando
Le premesse non rendono però ottimisti, poiché il racconto che SanPa propone non fornisce alcun elemento di contestualizzazione riguardo il periodo storico, le correnti culturali, la situazione politica, gli apparati normativi di riferimento, le diverse filosofie e metodologie di trattamento delle tossicodipendenze. Uno spettatore giovane o smemorato sarà anzi indotto a ritenere che quella di Muccioli sia stata l’unica struttura preposta alla cura di quanti in quell’epoca fossero stati dediti all’uso di droghe. E, così pure, che l’opera di San Patrignano sia da considerarsi tanto più meritevole stante la latitanza dello Stato e di ogni supporto pubblico. Una convinzione tanto diffusa quanto errata, come vedremo…
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