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Home Cultura Cinema

Davide contro Golia

Iacopo Adami by Iacopo Adami
15 Dicembre 2020
in Cinema, Ultimo Numero
0
Davide contro Golia
  • (Paginauno n. 70, dicembre 2020 – gennaio 2021)

Recensione del film Official Secrets di Gavin Hood

Iraq, 20 marzo 2003. Hanno inizio le prime fasi del conflitto bellico che avrebbe portato alla destituzione di Saddam Hussein, giustiziato a Baghdad il 30 dicembre 2006 a seguito di una sentenza di morte pronunciata da un tribunale speciale per crimini contro l’umanità. Una guerra che avrebbe dovuto essere ‘lampo’, stando alla gigantesca macchina propagandistica messa in moto per giustificarla, e che sarebbe durata, invece, più di otto anni, con il termine ufficiale dichiarato il 18 dicembre 2011. Alla fine, il bilancio sarebbe stato di centinaia di migliaia di morti, non solo tra i militari, ma soprattutto tra la popolazione civile irachena, nonché 4.800 vittime all’incirca tra i soldati appartenenti alla coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti – composta, oltre ai suddetti, da Regno Unito, Australia e Polonia, già attivi durante l’invasione, e da più di quaranta Paesi intervenuti nelle fasi successive del conflitto (1). Si compiva così l’ultimo capitolo di una lunga storia, iniziata negli anni Ottanta, quando i rapporti tra Saddam Hussein e gli Stati Uniti, i Paesi occidentali e le monarchie arabe del Golfo Persico furono sostanzialmente buoni, nonostante l’Iraq appartenesse all’area di influenza sovietica. E questo perché il partito Ba’th (2), al quale Saddam apparteneva, veniva considerato un baluardo contro l’Iran guidato dall’ayatollah Khomeyni in seguito alla rivoluzione del 1979. Non per niente, proprio con questo Paese, l’Iraq fu in guerra tra il 1980 e il 1988, ricevendo armi, consigli militari e informazioni geografiche dagli Stati Uniti; i quali, tuttavia, perseguivano nell’ombra una strategia di logoramento nei confronti di entrambe le potenze, con lo scopo di fiaccare sia la politica islamista dell’Iran che quella ‘socialisteggiante’ e panaraba e dell’Iraq. A tal proposito, lo scandalo Iran-Contras del 1985-86 fu rivelatore di un vendita d’armi degli yankee all’Iran, ufficialmente sottoposto a embargo da parte degli Stati Uniti.

Il conflitto si risolse con l’accettazione da parte delle due potenze – ormai allo stremo – di una risoluzione dell’Onu che prevedeva il ‘cessate il fuoco’ da entrambe le parti. Questo, tuttavia, non garantì all’Iran il ritorno dei territori occupati dall’Iraq; il che avvenne solo nel dicembre del 1990, quando Saddam Hussein, nel contesto della Prima guerra del Golfo, volle sottrarsi al pericolo di doversi misurare con un secondo fronte aperto dall’Iran. Il 2 agosto di quell’anno, infatti, l’Iraq aveva invaso il Kuwait, rivendicando l’appartenenza di quest’ultimo alla comunità nazionale i-rachena sulla scorta del comune passato ottomano e di una sostanziale identità etnica. Tuttavia, un’ulteriore motivazione può ricercarsi proprio nel comportamento ambiguo tenuto dagli Usa nella guerra Iran-Iraq. Attaccando il Kuwait, Paese ‘amico’ degli Stati Uniti, Saddam Hussein intendeva dare una prova di forza al potere a stelle e strisce, ponendosi pericolosamente vicino ai campi petroliferi dell’Arabia Saudita, con particolare riferimento a quello di Hana.

Dopo aver ignorato l’ultimatum dell’Onu secondo cui l’Iraq avrebbe dovuto ritirare le sue truppe dal Kuwait entro il 17 gennaio 1991, Saddam Hussein si trovò ad affrontare una coalizione di più di trenta Paesi (3), capeggiati dagli Usa. Il 28 febbraio del 1991 la guerra fu dichiarata conclusa con la sconfitta dell’Iraq e la restituzione al Kuwait dei suoi territori. A Saddam Hussein, tuttavia, fu permesso di restare in carica in quanto, più che la minaccia rappresentata da quest’ultimo, gli Stati Uniti temevano la situazione che avrebbe potuto crearsi in Iraq con un vuoto di potere. Bush senior optò allora per una politica di contenimento che prevedesse lo smantellamento delle armi di distruzione di massa in ma-no a Saddam Hussein, pressioni militari per mezzo della costruzione di ba-si Usa nei Paesi vicini, nonché l’istituzione di no-fly zone, e sanzioni economiche che avevano lo scopo di rendere impopolare il regime e ostacolarne il riarmo. Tale politica fu mantenuta, in seguito, da Clinton, ma fu oggetto di lievi modifiche nel 1996, quando le condizioni miserevoli in cui vessava la popolazione civile spinsero l’Onu a introdurre il programma Oil for Food, che permetteva all’Iraq di vendere piccole quantità di petrolio in cambio di generi di prima necessità; e nel 1998, anno in cui Saddam Hussein fece sospendere l’attività degli ispettori Onu in quanto accusati di spionaggio a favore degli Usa.

Arriviamo così alla fine degli anni Novanta…

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