Andrej
Romanovic Cikatilo, l’uomo che dal 1978 al 1990 uccise in Unione
Sovietica almeno 56 persone, dopo averle torturate, mutilate e averne
assaggiato le interiora, è il protagonista de Il giardino delle
mosche. Tarabbia ci conduce tra gli oscuri anfratti della psiche del
“mostro di Rostov” narrandone la vita, costellata di soprusi
e umiliazioni, per mezzo del suo consueto linguaggio crudo e asciutto.
Ma il romanzo non è riducibile unicamente alla storia di un
individuo di norma grigio e noioso, a tratti capace di commettere
eccezionali aberrazioni su quei soggetti da lui ritenuti inadeguati
a rappresentare il regime. La vita di Cikatilo infatti, si fa allegoria
di una Unione Sovietica il cui ideale politico e sociale lentamente
si sgretola. La causa alla quale egli stesso sostiene di immolare
le sue vittime, una grande Nazione dove non esiste povertà
e disuguaglianza, si svuota di significato, mostrando i limiti di
una dittatura che ha fatto della violenza il proprio strumento di
potere. Ecco allora che la società crea il mostro, lo giudica
e lo giustizia, facendosi essa stessa “Dio della carne”,
così che, nello specchio della narrativa, si veda riflessa
con il volto sbilenco di Andrej Cikatilo. (V. Sartorio)
IL GIARDINO DELLE MOSCHE
Andrea Tarabbia, Ponte alle Grazie, 336 pagg., 16,80 euro
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Quattro
racconti sull’amore. Unità di tema, ma anche di luogo,
trama, personaggi e stile alla maniera della tragedia classica. È
la provincia americana lo scenario, in particolare una porzione circoscritta
di pianura del New England. La scoperta del disonore della persona
amata è la trama
che apre ogni vicenda, nei finali però la narrazione devia
tragitto e segue il percorso di chi si ritrova dopo che è stato
a lungo disperso. I personaggi sono sempre gli stessi, protagonisti
in un racconto assumono il ruolo di comparse in un altro. Nell’ultimo,
sviluppato a due voci, ce li ritroviamo tutti davanti, sebbene la
giovane Devon, umiliata e ferita dal padre, e il prozio Francis, uomo
vecchio e solo, la facciano da padroni. L’affabulare non è
mai lineare, segue i salti temporali della mente – ampio spazio
è infatti concesso alla memoria storica dei protagonisti e
dei luoghi – e corre all’inseguimento di quel pensiero,
di quel ricordo che apre la porta del sommerso. Talvolta è
una parola chiave detta da un personaggio oppure è un oggetto
a innescare il flusso inconscio. E la continua girandola tra scoperto
e celato, presente e passato, porta al crollo del castello incantato
tanto che la persona amata diventa nient’altro che un giudice.
(R. Brioschi)
L’AMORE SPORCO
Andre Dubus III, Nutrimenti, 336 pagg., 19,00 euro
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“Il
Klondike è pieno di matti, senza dubbio. E quando ce n’è
tanti qualcuno deve far fortuna, no?” La frase di Shorty, il
coprotagonista di questi sei racconti di London, può fungere
da perfetta sintesi tematica. E la follia di cui parla è sinonimo
del sogno di arricchirsi a prezzo della vita che ha pervaso non pochi
avventurieri da un giorno all’altro trasformatisi in cercatori
d’oro. È questo lo sfondo storico in cui London ambienta
le vicende del protagonista Smoke Bellew, traducendo in narrativa
gli anni che andarono dall’estate del 1896 all’estate
del 1898. La logica sottesa di ogni storia è semplice: chi
fa fortuna diventa ricco, agli altri delusione o morte. E di questi
ultimi scrive London, dei diseredati del sogno americano, costretti
ad arrangiarsi per sopravvivere.
A prima vista, i racconti potrebbero sembrare storie d’avventura
– con tutti
gli ingredienti cari all’autore: i cani, gli indiani, lo Yukon,
le foreste, la neve, l’amore – se non che London vi inserisce,
in aggiunta, dosi di umorismo e di dramma, animandoli con il soffio
della vita. E pagina dopo pagina, il racconto alza la propria posta
trasformandosi nell’eterna parabola dell’uomo e dei suoi
fantasmi... ed ecco che la storia parla di te. (Milton Rogas)
L’ERRORE DEL CREATO
Jack London, Robin Edizioni, 225 pagg., 13,00 euro
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Ricco
di stimoli e spunti che spingono nella direzione di un approfondimento,
Etica e fotografia è una raccolta di contributi, di
taglio per lo più storico. Spicca l’intervento di Adolfo
Mignemi, in cui appare la fattispecie del fotografo-vittima; quello
di Federica Muzzarelli, sul corpo delle donne e l’importanza
dell’immagine fotografica come sconfitta delle censure; e quello
di Michele Smargiassi, “Bugie dell’elocutio”, che
affronta il tema della manipolazione delle immagini, in un susseguirsi
di tesi e controtesi e comparando scrittura e fotografia nel contesto
giornalistico.
Nell’insieme del libro tuttavia, il tema principale, l’etica,
aleggia senza quasi manifestarsi, sopraffatta dall’impostazione
storica dei testi. Argomento attuale e complesso, per le implicazioni
e gli usi della fotografia nell’era del web 2.0, viene solo
accennato da Raffaella Perna in una citazione di Tano D’amico,
che nel 1978 scrive: “Io mi incazzo con noi che non abbiamo
ancora imparato a leggere le foto, i volti che vi appaiono, gli ambienti”.
Da allora non abbiamo fatto molti passi in avanti, e finché
non sapremo leggere una fotografia non avremo il senso critico che
l’era delle immagini richiede. (Gio Sandri)
ETICA E FOTOGRAFIA
Raffaella Perna e Ilaria Schiaffini (a cura di), Derive Approdi, 154
pagg., 16,00 euro
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Per
qualche strano paradosso della storia, come se il tema fosse avvinghiato
da un tabù, argomentazioni anti-Ue si sono diffuse in maniera
prepotente in tutta Europa coinvolgendo spesso movimenti populisti
e xenofobi, ben più raramente pensatori capaci di denunciare
il disegno di sfruttamento capitalistico promulgato dagli eurocrati.
Il caso di Diego Fusaro è una meritevole eccezione, e la sua
avversione all’Europa economica trova sbocco definitivo in questo
agile testo in cui le politiche Ue sono viste alternativamente come
sbocco definitivo del “capitalismo assoluto”, come tentativo
di destabilizzazione del principio di sovranità nazionale,
come malefico principio di sradicamento e distruzione di ogni differenza.
Capace di muoversi in maniera eretica tra Gramsci e Heidegger, Fusaro
aggiunge qui un tassello alla sua opera filosofica; chi conosce il
suo percorso inevitabilmente si imbatterà in temi già
esposti dall’autore in passato, soprattutto ne Il futuro è
nostro, ma occorre rimarcare come in questo saggio, che a dispetto
della brevità non è un pamphlet, lo stile si faccia
più chiaro, a favorire una maggior diffusione di un pensiero
critico che vorrebbe farsi azione. Notevole, da un
punto di vista meramente filosofico, la sfida di voler ripartire dall’idealismo.
(A. Cresti)
EUROPA E CAPITALISMO
Diego Fusaro, Mimesis Edizioni, 140 pagg., 14,00 euro
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Due
piani si incrociano e si completano, in questo testo sospeso tra saggistica
e narrativa: quello privato, intimo, del rapporto tra un uomo e il
suo lupo, e quello universale, scientifico e filosofico che riguarda
il rapporto della razza umana con la vita selvaggia. L’uomo
in questione, Mark Rowlands, oltre a essere il felice proprietario
di un lupo di nome Brenin, è anche il docente di filosofia
che si interroga sui grandi temi dell’esistenza, dall’evoluzione
alla felicità, alla natura del tempo e della morte. “Noi
viviamo attraverso i momenti ed è per questa ragione che il
momento ci sfugge”. Le conclusioni non sono lusinghiere per
gli eredi delle scimmie, dal
momento che tra le caratteristiche che non abbiamo in comune con i
lupi c’è la nostra capacità – comune ai
primati – di utilizzare l’inganno per ottenere quello
che vogliamo e impedire al contempo agli altri membri del branco di
averlo. Se uno scimpanzé può fingere di non aver visto
una prelibatezza, per mangiarsela poi da solo, i lupi si affrontano
per quello che desiderano, possono uccidere, ma sono incapaci di portare
maschere.
“Gli uomini sono quegli animali che progettano la possibilità
del male. [...] Un lupo fa quel che fa e ne accetta le conseguenze”.
(S. Campolongo)
IL LUPO E IL FILOSOFO
Mark Rowlands, Mondadori, 228 pagg, 18,50 euro
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Il
fatto: Darryl Adams, giovane sui ventuno/ventidue anni, vice-gestore
del ristorante Ahab, si appresta a chiudere quando, bang bang,
lo fanno secco. I protagonisti: Strike e Victor, due fratelli neri,
diversi tra loro nel temperamento e nelle scelte di vita come il sole
e la luna. I ragazzi sono nati sotto una cattiva stella tanto che
definire le loro esistenze solo sfortunate, tra passi sbagliati e
tentativi di riscatto andati male, è un eufemismo da quattro
soldi. Chi ha sparato dei due? Eh, già perché Strike
e Victor in questo brutto caso di omicidio sono invischiati fino al
collo. E con loro Rocco, solo che lui sta dall’altra parte della
barricata, di mestiere fa il poliziotto e segue le indagini. Lo scenario:
l’America dei nostri giorni, tra droga e facili guadagni, razzismo,
povertà e lavoro precario e sottopagato di chi tira a campare
con onestà. Lo stile: dialoghi serrati, in particolare negli
interrogatori come è giusto che siano, montaggio alternato
del punto di vista Strike/Rocco, fuorilegge/forza dell’ordine,
per tutta la narrazione e scavo psicologico dei personaggi. Sì,
ci vengono raccontati desideri, paure, fantasmi e ragioni di chi scappa
e di chi insegue, senza distinzioni. Il motto: non giudicare, comprendi.
(R. Brioschi)
CLOCKERS
Richard Price, Neri Pozza, 448 pagg., 18,00 euro
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Una
‘storia semplice’ nella Sardegna degli anni Venti. Il
governo Sabaudo firma un provvedimento – l’Editto delle
Chiudende – che autorizza la recinzione delle terre comunali.
La parola chiave a giustificazione della sottrazione delle terra alla
comunità – che trasforma i piccoli coltivatori in forza
lavoro a basso costo per i grandi feudatari – è ‘modernizzazione’.
I vari Don della comunità di Ozieri cominciano a sfregarsi
le mani in attesa dell’editto che li arricchirà ulteriormente,
ma sanno che c’è ancora una piccola formalità
da sbrigare: Bachis De logu. È un vecchio giacobino reduce
dalla Sarda rivoluzione che senza mezzi termini esprime la propria
ostilità nei confronti dell’editto. Ai notabili del luogo,
per evitare che i lamenti diventino sommossa popolare, non rimane
che una cosa da fare. Trasformando Ozieri nell’ombelico del
mondo e affidando a ogni personaggio una propria funzione narrativa
(l’usuraio, il massone, il ricco feudatario, il pavido investigatore,
il ribelle...), l’autore costruisce una trama capace di raccontare
con precisione e semplicità il processo storico di accumulazione
originaria del capitalismo. Il risultato è un’inequivocabile
denuncia della natura predatoria della classe dominante di ogni tempo
e luogo. (Milton Rogas)
UNA SEMPLICE FORMALITÀ
Giuseppe Masala, Regina Zabo (epub/mobi), 102 pagg., 3,99 euro
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Che
cos’è il disincanto? Come agisce? Quali forme può
assumere e che tipo di ricadute può avere sull’esistenza
di coloro che lo vivono? In questi racconti, Vanina Sartorio offre
una risposta a tali domande, attraverso la costruzione di personaggi
mai banali, spesso alle prese con problematiche quotidiane, che, poste
sotto la lente di ingrandimento della narrativa, esplicano tutta la
loro potenza tanto più distruttrice in quanto viene comunemente
minimizzata. Sicché, fin dal primo racconto, siamo costretti
a misurarci con uno dei tabù dell’epoca moderna: la depressione
di una madre che arriva a pensare di uccidere il proprio figlio di
appena un anno. Ma il disincanto può essere anche quello di
un bambino che si accorge di stare crescendo: non lo diverte più
sentire la propria eco nell’androne del palazzo e, al parco,
partecipa con scarsa convinzione ai giochi dei suoi coetanei. Vorrebbe
‘salvare’ il cane di un vecchio affetto dalla sindrome
di Diogene, ma, alla fine, scopre amaramente che la bestia preferisce
stare dove si trova. Forse allora il disincanto è l’antitesi
dell’incanto, che porta alla sintesi di una maggiore consapevolezza.
Quella che ha certo dimostrato di possedere Vanina Sartorio in questo
suo esordio. (I. Adami)
RACCONTI E DISINCANTI
Vanina Sartorio, 13Lab Editore, 154 pagg., 12,50 euro
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In
un’epoca in cui il telespettatore lobotomizzato riesce a entusiasmarsi
al cospetto di uno spettacolo raccapricciante come Lo Show dei
Record, nel quale vengono esibiti come fenomeni da baraccone
l’uomo e la donna più alti o bassi del mondo, l’uomo
interamente tatuato o con le corna sulla fronte o col maggior numero
di piercing, la donna barbuta e altre tristi amenità, è
bene rimarcare, come il libro in questione fa, che questo genere di
spettacoli non ha nemmeno il pregio dell’originalità
in quanto ha ripreso pari pari la moda dei Freak Show (letteralmente
‘esibizione di mostri’), in voga nell’800, che puntavano
sull’esposizione di individui affetti da qualche deformità,
e dei cosiddetti zoo umani nei quali venivano esibiti dietro le sbarre,
dunque disumanizzandoli, pigmei, boscimani, indios dell’Amazzonia
e rappresentanti di altre etnie, spesso deportati nel vecchio continente
con l’inganno e la violenza. Simboli del dominio dell’uomo
occidentale, nelle intenzioni degli organizzatori gli zoo umani (che
è bene ricordare si protrassero fino agli anni ‘50 del
Novecento) servivano per legittimare l’imperialismo, il colonialismo
e il razzismo, trasformando l’Altro in qualcosa (non in qualcuno)
da contrapporre all’uomo bianco evoluto. Libro imperdibile.
(G. Ciarallo)
UOMINI NELLE GABBIE
Viviano Domenici, Il Saggiatore, 337 pagg., 17,00 euro
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È
una grande lezione di cinema, di etica, di coerenza politica e ideologica
quella che il grande regista britannico impartisce in questo brevissimo
libro intervista, appena 48 pagine, scritto a quattro mani con il
giornalista e attivista per i diritti umani Frank Barat. Ken Loach
spiega i suoi metodi di lavoro, la scelta degli attori, l’importanza
della colonna sonora, l’essenzialità di costruire una
squadra compatta sul set, le tecniche di montaggio, ma soprattutto
racconta della finalità ultima del suo lavoro che consiste,
come recita il titolo del libro, nello “sfidare il racconto
dei potenti”, nel guardare le cose da un altro punto di vista
schierandosi senza fraintendimenti, senza preoccuparsi di urtare la
sensibilità di alcuni (anche a sinistra, come avvenne all’uscita
del film Terra e libertà). “Gli artisti rappresentano
un pericolo per le élite, perché sono spiriti liberi
che si rivolgono alla gente, la emozionano. [...] L’arte può
fare da detonatore, essere la scintilla che dà fuoco alle polveri.
Dopodiché spetterà a noi alimentare la fiamma, tenere
viva la rabbia e trasformarla in un movimento globale che possa condurre
a un cambiamento radicale e profondo della nostra società nel
suo complesso”. What else? (G. Ciarallo)
SFIDARE IL RACCONTO DEI POTENTI
Ken Loach, Lindau, 56 pagg., 9,00 euro
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“La
colonizzazione dell’immaginario [...] è dunque un processo
sociale post-novecentesco, attuale e di una tale ampiezza che il passato
colonialistico dei Paesi capitalistici non ha mai conosciuto”.
Usando i termini ‘colonizzazione’ e la locuzione che dà
il titolo al saggio, Impero virtuale, Curcio mostra sin dall’inizio
la posta in gioco della società nel futuro prossimo venturo
– indirettamente evidenziando le basi sulle quali organizzare
una resistenza. Focus del discorso è la tecnologia digitale,
ovvero l’analisi della vita sociale ormai scandita quasi esclusivamente
dall’intenso rapporto emotivo legato alla convivenza dell’uomo
con la macchina. Tra i tanti meriti di questo ricco saggio, il più
importante è quello di smantellare il mito della ‘rivoluzione’
digitale come qualcosa che avrebbe
liberato l’individuo, mostrando come “l’innovazione
digitale, al contrario, abbia stretto la morsa del capitale sui lavoratori,
sui consumatori e più in generale su chiunque vi acceda”.
A tutto vantaggio delle grandi imprese capitalistiche – Google,
Apple, Facebook, Microsoft, Amazon – che fondano la loro fortuna
economica sulla vendita di informazioni che ogni utente fornisce,
più o meno inconsapevolmente, ai loro ‘misteriosi’
algoritmi. (Gio Sandri)
L’IMPERO VIRTUALE
Renato Curcio, Sensibili alle foglie, 112 pagg., 15,00 euro
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Che
cos’è una fuga? È un abbandono, precipitoso e
improvviso di un luogo. È una perdita di oggetti e affetti.
Ma nelle arti figurative la fuga è il punto d’incontro
delle linee, così vale per questo racconto inedito di Christa
Wolf in cui, come in tutte le grandi partenze – declina morte
– i ricordi, le esperienze e i percorsi di vita finora tracciati
convergono, corrono in mente, tutti insieme presenti all’appello.
Capita alla quindicenne Helene.
Perché in una fredda mattina di gennaio la giovane ragazza,
l’io narrante della storia, con un gruppo di parenti lascia
la città, invasa dai carri armati sovietici. Siamo in Germania,
1945. Magistrale l’abilità della scrittrice di raccontare
la storia muovendosi su piani temporali diversi, senza mai una dispersione,
ma anzi dando una forte idea di compattezza nel portare avanti temi
e costruzione di personaggi. Ciò che nasce è una scrittura
viva, ricca di paragoni, che fuoriesce dalla pagina; le voci dei protagonisti,
grazie all’uso sapiente del discorso diretto libero, pare di
sentirle, lì accanto, mentre scorrono le vicende. E la frase
d’inizio, quel «No, non è stato così»,
a ribadire con furia una narrativa come spazio della memoria, della
testimonianza, della confessione di verità. (R. Brioschi)
EPITAFFIO PER I VIVI. LA FUGA
Christa Wolf, Edizioni E/O, 160 pagg., 14,50 euro
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Gli
Wapshot sono un’aristocratica famiglia di St. Botolphs colta
nella sua fase di declino e sgretolamento. È lo scandalo a
defraudare i personaggi di questo ironico e sferzante romanzo della
rispettabilità, unico baluardo al quale sembrano aggrapparsi
per affrontare la vuota quotidianità. Honora, Coverly e Moses
sono gli ultimi rappresentanti della famiglia e, anche se lo scandalo
‘ufficiale’ che muove la vicenda è l’accusa
di evasione fiscale imputata all’anziana cugina, il processo
di scorticamento delle apparenze operato da Cheever, pone il dubbio
che lo scandalo sia lo strumento adottato per smascherare l’ipocrito
conformismo di tutti i personaggi. I fratelli Coverly e Moses Wapshot,
le loro mogli Betsy e Melissa, Honora stessa, costituiscono un piccolo
mondo fatto di negazione della realtà, di desiderio di appartenenza
alla società, di ostinata ricerca di rifugio nel fulgore di
un passato che non ha trovato degni rappresentanti nel presente. A
ognuno l’autore toglie i riferimenti sottoponendoli a scandali
personali che come satelliti ruotano attorno a quello più generale
che coinvolge l’intera famiglia, per registrarne sì il
fallimento, ma anche la capacità di ricostruirsi una nuova
realtà, se non idilliaca, meno artefatta. (V. Sartorio)
LO SCANDALO WAPSHOT
John Cheever, Fandango, 336 pagg., 18,00 euro
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A
volte capita nella vita di incontrare persone o di vivere situazioni
la cui relazione con il reale viola i principi e le regole della sana
logica. Momenti, di fronte ai quali la ragione resta senza voce. Il
cliché da genere letterario si riferisce a questi incontri
usando termini quali ‘mostri’ e ‘fantasmi’,
e forse sì, forse è vero che da ingredienti simili è
composta la materia narrativa di questi cinque racconti della Byatt.
Però c’è molto di più. In fondo, la narrativa
si è spesso confrontata con il soprannaturale per affrontare
l’ignoto che pervade il quotidiano, e molto spesso lo ha fatto
pur tenendosi fuori dalle rigide traiettorie dell’horror –
basti pensare a Giro di vite di Henry James e alle sue storie
di fantasmi. Nel caso della Byatt, il perturbante penetra il quotidiano
in maniera più sottile, e lo fa per conviverci o per accedere
alla psiche sotto forma di esperienza positiva, per quanto dolorosa.
È un perturbante che si accompagna a tenerezza e a pietà,
e che spesso entra con l’amore, penetra nella solitudine, viene
a disfare certezze... e costringe il lettore a riflettere su quante
volte ciò che definiamo ‘inspiegabile’ intervenga
nella vita per consegnare un nuovo punto di vista e correggere l’immagine
che abbiamo di noi stessi. (Milton Rogas)
LA COSA NELLA FORESTA
A.S. Byatt, Einaudi, 204 pagg., 12,50 euro
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Dare
voce alla realtà dei black bloc non è semplice: non
esiste un manifesto politico così come non ci sono referenti
da contattare, e la difesa dell’anonimato con cui si proteggono
è pari all’avversione che nutrono per giornalisti e media
(difficile dargli torto). Il merito di Fracassi è quindi di
essere riuscito a raccogliere alcune testimonianze, dando la possibilità
al lettore di confrontarsi direttamente con il famigerato blocco
nero. Esercizio interessante, anche se non mancano contraddizioni
tra le diverse dichiarazioni, inevitabili in una galassia non strutturata
e non gerarchica. Quello che invece si poteva evitare sono le interviste
agli ‘esperti’, che aggiungono nulla a quanto già
si legge sui quotidiani dopo ogni manifestazione – condanna
dell’uso della violenza, ipotesi di infiltrazione da parte della
polizia, suggestioni di controllo a opera dei servizi segreti, richiamo
alla strategia della tensione. Anche perché Fracassi costruisce
un
libro in due parti che però non dialogano tra loro, con il
risultato che la manovra a tenaglia degli ‘esperti’ raggiunge
l’obiettivo di squalificare politicamente i black bloc, nel
momento in cui non riconosce in loro una opposizione al sistema. (G.
Cracco)
BLACK BLOC. VIAGGIO NEL PIANETA NERO
Franco Fracassi, Alpine Studio, 142 pagg., 11,00 euro
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Nel
tributare il giusto plauso alle edizioni Mimesis che hanno pubblicato
questo classico firmato da Boltanski, un allievo di Pierre Bourdieu,
e dalla sua collaboratrice Chiapello, è impossibile non segnalare
al lettore l’incredibile ritardo con cui questo testo è
stato reso disponibile al mercato italiano, un ritardo ancor più
grave poiché quando questa opera (che oggi appare come una
acuta, minuziosa, descrizione della società odierna) uscì
nel 1999, la sua triste qualità profetica spiccava con massima
forza. Vicino alla prospettiva previana, anche se arricchito da contributi
provenienti dal campo delle scienze sociali e della statistica, questo
testo illustra dunque benissimo “l’unico dei mondi possibili”,
ovverosia un mondo permeato dal Capitalismo in ogni sua piega, con
il tragico effetto di produrre ogni giorno sempre maggiori disuguaglianze
e sfruttamento. Un quadro che è cominciato a precipitare, fatalmente,
nel 1968 e che, a partire del 1989 non ha conosciuto più alternativa.
Il nuovo spirito del capitalismo è un saggio corposo,
per molti versi impegnativo, ma essenziale per capire in tutta la
sua gravità il pericolo derivante dal trionfo capitalistico,
spingendo dunque a trovare oggi nuove forme di dissenso. (A. Cresti)
IL NUOVO SPIRITO DEL CAPITALISMO
Luc Boltanski e Ève Chiapello, Mimesis Edizioni, 680 pagg.,
38,00 euro
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Come
può prendere vita quel fenomeno paradossale per cui molti lavoratori
sfruttati siano d’accordo con chi li sfrutta, e felici di esserlo?
Questa domanda è il punto focale da cui si dirama la riflessione
proposta in questo saggio, nel tentativo di svelare uno degli arcani
della modernità lavorativa. Lordon focalizza l’analisi
sui desideri e sugli affetti – partendo dal concetto di conatus,
di Spinoza – che muovono l’individuo ad appassionarsi
al proprio lavoro cercando e rintracciandovi una soddisfacente realizzazione
del Sé. L’autore supera il concetto di ‘servitù
volontaria’ elaborato da La Boétie per entrare nei meccanismi
di transizione del desiderio, e mostra la capacità della struttura
oggettiva – il sistema – di diventare soggettiva attraverso
il desiderio, nella forma di un immaginario. La volontà e la
consapevolezza sono, secondo Lordon, fuori questione. Qui è
il desiderio che sostituisce l’imposizione tipica dei regimi.
Si tratta di strutture, di tecnologie, di produzione di desideri.
Lettura stimolante, quindi, che cerca di integrare Marx formulando
un’antropologia delle passioni e avvalendosi delle riflessioni
di Foucault e Bourdieu, e del fondamentale supporto dell’Etica
di Spinoza. (Milton Rogas)
CAPITALISMO, DESIDERIO E SERVITÙ
Frédéric Lordon, Derive Approdi, 216 pagg., 16,00 euro
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Radical
chic è una definizione divenuta di uso comune, ma la si
può comprendere in tutte le sue pungenti e impietose sfumature
(e quindi godere a pieno quando la si utilizza) solo leggendo il testo
di Tom Wolfe, che la inventò nel 1970. Siamo in pieno new journalism,
la tecnica narrativa si mescola alla scrittura giornalistica, e il
risultato è un racconto/analisi sociologica che non ci si stanca
mai di rileggere – quindi un ringraziamento a Castelvecchi che
l’ha riportato nelle librerie. La nostalgie de la boue
è la chiave, e la maledizione, della Nuova Società
affermatasi a New York verso il 1965, da cui nasce il radical
chic: un concentrato di contraddizioni e incongruenze, un animale
sociale della buona borghesia bianca di sinistra “che di radicale
ha solo lo stile”; sincero fan delle Black Panthers
che invita ai party, fino a quando non comprende che l’eventuale
rivoluzione farebbe piazza pulita anche di lui.
Superfluo dire quanto il ritratto sia ancora puntuale per la ‘sinistra
bene’ – salvo il fatto che ha saggiamente imparato a fare
a meno dell’ebrezza di una pantera in salotto. Necessario
invece ricordare quanto l’intelligente ironia, la cultura, lo
stile, la tecnica di scrittura di Tom Wolfe, siano sempre una boccata
d’ossigeno per il cervello. (G. Cracco)
RADICAL CHIC
Tom Wolfe, Castelvecchi, 122 pagg., 7,90 euro
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Nel
settantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, un collettivo
di autrici e autori racconta, per immagini o attraverso la parola,
alcune storie legate a quella cruciale stagione per il nostro Paese,
che fu la Resistenza. Lontani dall’essere mero esercizio di
retorica, i racconti di Festa d’aprile narrano, in
modo sincero e originale, la Storia e le storie – che è
bene ricordare sono sempre frutto di scelte operate da esseri umani
in carne e ossa e non da entità astratte – che portarono
l’Italia a liberarsi dal giogo della dittatura fascista e dalla
presenza dell’occupante tedesco. Il titolo del libro, Festa
d’aprile, è ispirato alla nota canzone partigiana scritta
e musicata da Sergio Liberovici e Franco Antonicelli. Non mancano
sguardi e riflessioni sull’oggi, sulle influenze e i riflessi
che quegli eventi hanno determinato, sull’importanza della memoria
e sul pericoloso tentativo di cancellazione e di revisione della Storia.
Festa d’aprile è un’azione partigiana, un monito
per far sì che il settantesimo anniversario della Liberazione
si traduca in una rinnovata testimonianza – principalmente rivolta
alle giovani generazioni – dei valori universali di libertà,
di dignità umana, di giustizia sociale, che furono propri della
Resistenza. (G. Ciarallo)
FESTA D’APRILE
AA.VV., Tempesta Editore, 188 pagg., 23,00 euro
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Con
gli ottimi risultati di vendita del libro Dimentica il mio nome
di Zerocalcare, peraltro indicato come ‘Libro dell’anno’
dagli ascoltatori del programma radiofonico Fahrenheit, è caduto
definitivamente il tabù che da sempre ha relegato il fumetto,
o come si dice da qualche tempo a questa parte, la graphic novel,
in un angolo nascosto della narrativa. Opere come Gian Maria Volonté
dimostrano che sono invece necessarie le doti del miglior scrittore
per raccontare, sceneggiare, disegnare (e non solo graficamente) caratteri
e personaggi, e dominare quell’elemento che è forse il
più scivoloso nell’esercizio della scrittura: il dialogo.
Con un tratto grafico efficace e particolare il racconto si snoda,
in modo alquanto visionario e onirico, attraverso la parabola artistica
del grande attore, in un susseguirsi di personaggi da lui interpretati
(El Chuncho, Teofilatto dei Leonzi, Lulù, Bartolomeo Vanzetti,
Giordano Bruno, il dirigente di polizia di Indagine su un cittadino
al di sopra di ogni sospetto), mescolando generi e saltellando
nei secoli e nella Storia fino alla fuga finale, con un Gian Maria
Volonté in salvo sulla sua amata barca, la Arzachena,
sulla cui vela campeggiano i magnifici versi di libertà di
Paul Valéry: Le vent se lève. Il faut tenter de
vivre. (G. Ciarallo)
GIAN MARIA VOLONTÉ
G. Pucciarelli, P. Castaldi, G. Morici, Becco Giallo, 128 pagg., 15,00
euro
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Il
nuovo saggio del giovane filosofo Diego Fusaro, dedicato alla figura
di Antonio Gramsci, e dal felice taglio divulgativo, prende le mosse
dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a un intellettuale “noto,
ma non conosciuto”; in effetti il nome di Gramsci, immaginetta
sacra dell’antifascismo, non ha mai finito di essere pronunciato,
ma cosa sappiamo in realtà del suo pensiero, della sua filosofia,
che pure ci sarebbero di grande aiuto nei tempi che viviamo? In questo
senso ogni giorno la sinistra italiana, quella che vanterebbe una
diretta discendenza dalla figura del “Marx italiano”,
ne perpetra l’assassinio, contraddicendo con le azioni quell’insegnamento
di agire appassionato, di bellezza dell’ideale che, invece,
sarebbe tesoro prezioso, soprattutto per i più giovani, oramai
monadi dominate da sentimenti di apatia e anomia.
Fusaro analizza con competenza e passione i vari punti del pensiero
gramsciano, compresi i rapporti con Marx, Croce e Gentile, la peculiare
idea di praxis, il concetto di egemonia, concludendo che “il
solo modo per ereditare Gramsci è ripartire dal suo progetto
incompiuto”, fuori da autoghettizzazioni e da tradimenti. Ed
è un auspicio che non possiamo non condividere. (A. Cresti)
ANTONIO GRAMSCI
Diego Fusaro, Feltrinelli, 176 pagg., 14,00 euro
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Dopo
l’orrendo attentato alla redazione francese della rivista Charlie
Hebdo fatalmente ci si è cominciati a interrogare anche sull’essenza
della cultura francese, sulle sue linee di continuità e rottura
nel corso dei secoli, e non crediamo sia un caso che appaia ora sul
mercato editoriale questo inedito di Cioran, scrittore rumeno che
con la Francia ha sempre mantenuto un singolare e intenso rapporto
di amore/odio. Chi volesse trovare una spiegazione ai recenti atti
terroristici ovviamente non troverà soddisfazione da questo
libello (peraltro scritto nel lontano 1941)… Oppure sì,
perché l’incredibile scrittura aforismatica di Cioran,
qui al suo massimo, è in grado con poche pennellate, quasi
come un pittore Zen, di far percepire nell’essenziale il carattere,
e dunque i guasti, le contraddizioni, i possibili rischi di un mondo,
che qui appare grandioso e meschino al contempo: “Non credo
che avrei tanto a cuore i francesi, se non si fossero tanto annoiati
nel corso della storia”… Un incipit assoluto, sarcastico
e profondo al tempo stesso che ci immerge in una lettura che non può
non affascinare anche chi è digiuno di letteratura filosofica
o di storia francese. Tagliente come la lama di un coltello. (A. Cresti)
SULLA FRANCIA
Emil Cioran, Edizioni Voland, 112 pagg., 13,00 euro
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La
crisi che attraversa il mondo del lavoro sociale è profonda
quanto nascosta. Riguarda il ruolo delle imprese – privati che
si sostituiscono a uno Stato che arretra – il denaro che vi
circola – sempre più proveniente dalle fondazioni bancarie
– la figura dell’operatore sociale – lavoratore
(precario e senza diritti) o militante (da sfruttare in nome della
mission)? Ma è il rapporto con le istituzioni il punto
di messa a fuoco dell’inquadratura. Quando iniziò negli
anni ’70, l’imprenditoria sociale laica era controistituzionale:
nata su spinte valoriali e politiche, in discussione poneva la società
che produceva il disagio, non l’individuo che lo viveva. Oggi,
il suo ruolo è normalizzare, inserire la persona nella
società, e se ciò non è possibile, contenerla.
Le esperienze raccontate al cantiere manifestano la crisi etica vissuta
dai lavoratori, a cui viene chiesto di riprodurre un’istituzione
ormai palesemente repressiva mettendo in atto dispositivi di controllo
e contenimento. Ne consegue una crisi identitaria disperante, che
riguarda non solo gli operatori ma l’intera società;
perché l’esclusione sociale, nell’epoca neoliberista,
è destinata ad aumentare, e con essa le persone soggette a
sorveglianza e contenimento; e i profitti di questa economia basata
sul disagio. (G. Cracco)
LA RIVOLTA DEL RISO
Renato Curcio (a cura di), Sensibili alle foglie, 175 pagg., 16,00
euro
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In
Italia, Danilo Kis è praticamente sconosciuto ai lettori, nonché
piuttosto ignorato dalla stampa; per cui non è superfluo ricordare
che egli sia stato uno degli scrittori più importanti del Novecento.
Questa raccolta esce postuma, riassunta simbolicamente, a mo’
di enunciato lirico, rubando il titolo di uno dei sei racconti presenti
nel libro. Il ‘liuto’ e le ‘cicatrici’ stanno
per l’arte e i fantasmi, stanno per la scrittura e la morte,
ovvero stanno per i due temi costanti dello scrittore, immersi nelle
tragedie che hanno attraversato il secolo scorso. Le storie qui raccontate
parlano di destino, di pene d’amore, della tristezza del ricordo,
della dimenticanza e dell’esilio.
Sono vicende statiche, quindi; quelle dei sopravvissuti alle tragedie,
personaggi che vagano con la soma del ricordo e della testimonianza
sulle spalle. Storie di incontri con la morte, quindi. E là
dove incombe la morte, là dove la tristezza della memoria si
fa insostenibile, sembra ricordare l’autore, l’unica salvezza,
l’unica accoglienza, non possono che essere rintracciate dentro
il calore e nel silenzio della scrittura e dell’arte. (Milton
Rogas)
IL LIUTO E LE CICATRICI
Danilo Kis, Adelphi, 157 pagg, 13,00 euro
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Se
è possibile, o anche solo pensabile, scrivere ancora di campi
di concentramento e di Resistenza, se si può aggiungere qualcosa
a quello che i testimoni diretti hanno già raccontato, è
un interrogativo che resta senza risposta. Sceglie di farlo, in ogni
caso, Elena Rausa, in questo suo primo romanzo, ma l’impressione
è che a guidare la penna non sia l’ambizione di aggiungere
qualcosa a quel capitolo della nostra Storia, quanto il desiderio
di parlare di sopravvissuti, e del prezzo che si debba pagare per
la sopravvivenza a un evento così drammatico come la morte
di
una persona amata, quando sopravvivere ha il sapore di un tradimento.
Tradire la memoria, l’assenza e il dolore, perché la
vita, parafrasando De Andrè, ha la vita come solo argomento.
Così una psicologa con i capelli
bianchi, con i suoi non detti e i suoi numeri tatuati – e poi
cancellati – sul braccio, si perde e si ritrova negli occhi
e nei silenzi, altrettanto ostinati, di una bambina rimasta orfana;
mentre un uomo convinto di essersi già giocato – male
– tutte le carte, si vede offerta un’inattesa, feroce
possibilità di riparare a errori e peccati di omissione, e
di riafferrare, in coda, un senso. (Gio Sandri)
MARTA NELLA CORRENTE
Elena Rausa, Neri Pozza, 272 pagg., 16,00 euro
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Dezio
ha attraversato la letteratura con Nicola Rubino è entrato
in fabbrica (Feltrinelli, 2004): la storia dell’operaio
licenziato dopo il contratto di formazione ripropose i temi volponiani
de Le Mosche del Capitale con una sensibilità post-novecentesca,
estranea all’utopia della solidarietà di classe. Mentre
nei talk show il dibattito sul lavoro si faceva salottiero, molti
lessero chi in fabbrica c’era stato davvero: il romanzo vendeva
diecimila copie ed è tuttora nei manuali di letteratura, ma
la Feltrinelli lo metteva fuori catalogo ed è ormai introvabile.
Dezio ora torna con la leggerezza di chi non ha cercato un continuo
presenzialismo in libreria: in Qualcuno è uscito vivo dagli
anni Ottanta supera l’autobiografismo dell’esordio
e traccia la storia della ricezione delle controculture internazionali
in una provincia pugliese periferica e gretta. Sono citati 70 gruppi
rock, punk e new wave, cui si appassionano i tossicodipendenti degli
anni ’80, come i laureati degli anni 2000. Nella flagrante comicità
conferita ai racconti dalla prima persona, affiora spietata e retrospettiva
l’analisi microstorica che individua in quei decenni i mali
di oggi, tra maschilismo berlusconoide, deculturazione televisiva,
licenziamenti e delocalizzazioni. (C. Mazzilli)
QUALCUNO È USCITO VIVO DAGLI ANNI OTTANTA
Francesco Dezio, Stilo, 120 pagg., 12,00 euro
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È
una scrittura coraggiosa nella sostanza e al contempo vorticosa e
aforismatica nella forma quella della scrittrice, giornalista e autrice
televisiva Susanna Schimperna. Verrebbe da affiancare questo suo libercolo
lucido e feroce al grande Cioran, se non fosse che gli esiti ricercati
sono totalmente opposti. Laddove lo scrittore rumeno si muoveva nell’orizzonte
della negazione di ogni speranza, per la Schimperna si tratta di “studiare
la felicità”, una condizione questa che, verrebbe da
dire leggendo i suoi pensieri, può esser raggiungibile solo
attraverso la difesa della libertà del proprio essere, del
proprio spirito critico.
In poche pagine infatti non c’è luogo comune di cui non
ci si faccia beffe, sempre, però, mostrando una volontà
fattiva, costruttiva. Apprezzabile soprattutto il libertarismo vero,
non flatus vocis, che emerge da queste pagine e che si traduce
in un netto e fermo grido contro qualsiasi forma di censura o di tabù.
Cattivi pensieri è il classico libro che esalterà
o irriterà il lettore, senza mezzi termini, e la sua autrice
verrà alternativamente considerata una guru sui generis oppure
una furba mentitrice. Noi apprezziamo sinceramente il coraggio e lo
sforzo! (A. Cresti)
CATTIVI PENSIERI
Susanna Schimperna, Castelvecchi, 128 pagg., 14,50 euro
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Non
inganni il titolo del nuovo saggio dello studioso di filosofia Domenico
Losurdo, già autore di volumi di notevole pregio (citiamo su
tutti lo splendido Nietzsche, il ribelle aristocratico):
non ci troviamo qui di fronte a un banale j’accuse diretto alla
pseudosinistra italiana. Tale meritoria istanza infatti scaturisce
direttamente dalle pagine di questo lavoro che è prima di tutto
un’opera di disvelamento sui legami che sussistono tra l’odierno
attacco a tutto campo nei confronti dello Stato sociale e le numerose
operazioni militari guidate dagli Usa, che l’autore non esita
a definire “imperialistiche” e “neocolonialiste”.
Il tragicomico paradosso è quello di una società che
da un lato promuove con ogni mezzo una visione individualistica della
vita, dall’altra, per i suoi biechi scopi di volontà
di potenza, titilla gli istinti di unione comunitaria solo in occasione
delle sue politiche di aggressione.
E la sinistra? Essa, se dal 1989 non avesse deciso di riconvertirsi
ai dogmi del neoliberismo, avrebbe delle praterie operative se non
fosse che ovunque non si può che registrarne la pavida assenza.
Una assenza anche filosofica, tanto è vero che l’autore
attacca come agenti di tale pavidità anche intellettuali celebrati
come Latouche, iek, Foucault, Agamben. (A. Cresti)
LA SINISTRA ASSENTE
Domenico Losurdo, Carocci Editore, 304 pagg., 23,00 euro
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Mentre
il Capitale “celebra ovunque le sue orge” si moltiplicano
iniziative editoriali che tentano di tracciare un percorso alternativo
a quello imposto univocamente dal pensiero unico neoliberale. Una
di queste alternative è certamente quella incarnata dal pensiero
della Decrescita, sia nella sua variante più ‘morbida’
e prettamente ecologista, incarnata da Serge Latouche, sia in quella
più radicale, dell’antimodernismo alla Massimo Fini.
È su questa linea che si attesta l’interessante lavoro
di Dal Monte, chirurgo e conferenziere, che si propone l’ardito
compito di rileggere criticamente gran parte dei caposaldi economici
e filosofici del sistema Occidente. Ecco dunque che l’autore
decostruisce con efficacia non solo i modelli produttivi imperanti,
ma anche il mito della scienza e della tecnica, presi nel loro complesso.
Quello di Dal Monte non è dunque un, pur brillante, pamphlet,
al pari di molti lavori immaginati nello stesso solco (compreso proprio
La Ragione aveva torto? di Fini), ma un affresco denso, coerente
e coraggioso che si fa apprezzare proprio per la sua capacità
di mantenere una visione d’assieme sulle problematiche del presente
e per l’azzardo di proporre “una nuova immaginazione”
che proprio da queste nostre miserie possa farci risorgere. (A. Cresti)
L’ALLUCINAZIONE DELLA MODERNITÀ
Pier Paolo Dal Monte, Editori Riuniti, 432 pagg., 22,00 euro
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Per
William McIlvanney, non è affatto esagerato dire, come si può
leggere nelle prime pagine del libro dedicate ai giudizi della stampa
internazionale, che “è il più grande scrittore
scozzese contemporaneo” e che il personaggio da lui creato,
il poliziotto Jack Laidlaw, è “l’erede malinconico
di Philip Marlowe”. Come cerchi nell’acqua, riedizione
con nuova traduzione di Laidlaw. Indagine a Glasgow, già
pubblicato nel 2000 dall’editore Giovanni Tranchida, è
un’indagine incentrata su un difficile caso
di stupro e omicidio di una ragazza, in una Glasgow degradata e violenta.
Ma la storia raccontata è una questione secondaria, nella narrativa
di McIlvanney: il reato commesso è solo un pretesto per analizzare
il criminale, chi il crimine combatte, e la società che tutto
comprende e tutto determina. Nei romanzi che vedono protagonista Jack
Laidlaw si rimane affascinati dagli ingranaggi mentali del detective,
dalla sua umanità, dall’assenza in lui di granitiche
certezze: Laidlaw è un essere lacerato, un uomo colto che sente
su di sé il peso del degrado morale inarrestabile che devasta
la vita della città e della gente che ama. William McIlvanney,
dunque, l’autore contemporaneo che più si avvicina alla
lezione dei grandi maestri dell’hard-boiled Hammett e Chandler.
(G. Ciarallo)
COME CERCHI NELL’ACQUA
William McIlvanney, Feltrinelli, 272 pagg., 12,00 euro
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Chi
è La Pastora? Uomo Florencio o donna Teresa? Essere sanguinario
o pacifico? È ancora in vita? Quanta importanza ha avuto nella
lotta armata contro il regime di Franco? Questi gli enigmi del romanzo,
le domande a cui il giornalista Carlos e Lucien, psichiatra francese,
vogliono a tutti i costi dare risposte. Siamo in Spagna, l’anno
è il 1956. Nel giro di un mese i due mollano baracca e burattini
e mettono in piedi una spedizione sulle tracce della Pastora tra i
paesi sperduti delle montagne. Perché corre voce che lì
abbia trovato rifugio. La storia ufficiale non ha dubbi e senza andare
per il sottile emette la sentenza: ermafrodito pericoloso per la collettività,
con un carico di delitti e crudeltà di ogni genere sul groppone,
da sopprimere. Ma le cose stanno davvero così? Qui l’originalità.
Il viaggio di Carlos e Lucien è lotta contro le dicerie, contro
la storia come ce la vogliono dare a bere, contro un’informazione
superficiale e marchettara. Al punto che l’indagine scappa di
mano e i due protagonisti mettono in discussione le loro stesse esistenze.
Di fronte al dolore e all’ingiustizia si può continuare
a portare l’abito di sempre? Carlos e Lucien prendono la palla
al balzo.
A volte basta darsi una possibilità. (R. Brioschi)
DOVE NESSUNO TI TROVERÀ
Alicia Giménez-Bartlett, Sellerio, 460 pagg., 16,00 euro
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“C’è
l’ho fatta infine a beccarla! […] Non le basta avere un
marito, tanti soldi e tutto il resto, deve anche soffiare il moroso
a una povera ragazza…” È l’inizio del viaggio
negli inferi di Irene Wagner, bella donna della borghesia aristocratica
viennese, maritata con un noto penalista e madre di due figli, per
buona parte della giornata affidati alle cure di una cameriera. Una
vita priva di emozioni che un giorno la conduce nell’appartamento
di un giovane pianista. Ma quando la fidanzata del suo amante la ferma
sulle scale e comincia a ricattarla, inizia per lei una vita di menzogna
e di terrore. Irene paga finché si accorge che le sue riserve
economiche sono destinate a finire. E allora? Cosa accadrà?
Da queste domande, la vicenda inforca un percorso inatteso superando
l’usurata trama del ricatto, per entrare a piedi uniti nei meandri
dell’ideale borghese di stabilità e sicurezza. La vita
tanto detestata, comincia così ad assumere agli occhi di Irene
i contorni di un Paradiso perduto. E quando la donna si accorge di
non averlo nemmeno vissuto, tanto le appaiono estranei il marito e
i figli, ecco farsi strada un’idea tragica. Da rileggere una
seconda volta per godere di una diversa prospettiva sulla vicenda.
(Milton Rogas)
PAURA
Stefan Zweig, Adelphi, 113 pagg., 10,00 euro
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È
una tesi capace di far sobbalzare il lettore politically correct (molto
meno quello smaliziato…) quella che anima il nuovo saggio dello
studioso di filosofia Azzarà, ovverosia che dietro alla inarrestabile
deriva neoliberista e alle tentazioni autoritarie (“bonapartiste”,
nelle parole dell’autore) che oramai permeano ogni aspetto della
realtà sociale di questo Paese non stia Berlusconi coi suoi
venti anni di ‘tenebre’, come amerebbero farci credere
Scalfari & Co., bensì proprio quella sinistra che a partire
dal 1989 ha rinnegato ogni sua ragion d’essere finendo per superare
a destra le formazioni e le idee che per decenni aveva avversato.
Il discorso è semplice: il conflitto è necessario oggi
come non mai e in questo conflitto socioculturale l’attuale
sinistra è avversaria, non alleata. Il rottamatore postmoderno
Renzi è dunque il punto di arrivo di una vicenda dai tratti
tragicomici. Azzarà convince non soltanto nell’analisi
politologica della realtà attuale, ma soprattutto nella volontà
di uscire dalla dimensione del pamphlet affrontando le problematiche
messe in campo su un piano filosofico e dimostrando quanto il nostro
Paese avrebbe bisogno di una filosofia e non di ideologi, megafoni
del pensiero unico, come oramai accade a tutte le latitudini del pensiero.
(A. Cresti)
DEMOCRAZIA CERCASI
Stefano G. Azzarà, Imprimatur Editore, 336 pagg., 16,00 euro
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Ci
sono due città: una legittima e un’altra illegittima,
che offre servizi alla prima, nonostante ufficialmente venga denigrata.
Gli operatori di quest’ultima sono per la maggior parte migranti,
almeno per quanto riguarda il livello più basso della gerarchia
criminale. Si tratta di spacciatori e ladri di origine africana, asiatica,
sudamericana. Per loro seguire la strada dell’illegalità
è la scelta più razionale. Dopo un viaggio durato mesi,
a volte anni, tra il deserto, il mare e le montagne, si trovano davanti
alla prospettiva di lavorare per due euro l’ora in qualche cantiere
o in un campo di pomodori, col rischio di essere comunque arrestati
in quanto clandestini; oppure iniziare a vivere volontariamente ai
margini della società, sperando un giorno di guadagnare abbastanza
soldi per riuscire a tornare a casa (tratte clandestine al contrario
non esistono e non si può viaggiare, prendere un aereo, senza
documenti). Andrea Staid offre un’analisi etnografica, priva
di autocompiacimento accademico, in cui le voci dei protagonisti sono
raccolte in diversi anni di lavoro sul campo, dove l’osservatore,
pur rimanendo intrinsecamente al di fuori della comunità, è
riuscito a stringere rapporti di reciproco rispetto e fiducia. (I.
Adami)
I DANNATI DELLA METROPOLI
Andrea Staid, Milieu Edizioni, 192 pagg., 13,90 euro
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Sul
petrolchimico e le centrali a carbone di Brindisi pesa il silenzio.
Un tempo regno della Montedison, oggi vi operano l’Enel, l’Eni
e la A2A. L’inquinamento di fumi, polveri e ceneri ha reso il
territorio tossico, e tra il 2000 e il 2005 è esplosa la percentuale
di tumori. Ma le istituzioni sanitarie
locali hanno svolto per anni un ruolo passivo; la magistratura supplisce
alla mancanza di responsabilità politica ma produce anche tante
archiviazioni e assoluzioni, rinchiusa in paradigmi mono-causali.
Eppure quando la Montedison ha avviato al sud la lavorazione della
plastica era consapevole della nocività del cloruro vinile
monomero; quando l’Enel e l’Eni subappaltano la manutenzione,
istituendola ‘a chiamata’ (a rottura), non possono non
essere consapevoli dei rischi sull’ambiente e sulla salute.
Quando esistono precise catene di comando, esistono altrettanto precise
responsabilità. Perché nel frattempo i lavoratori di
ieri e di oggi sono sottoposti al ricatto salute/lavoro, muoiono,
migrano al nord in ‘viaggi della
speranza’, lottano per farsi riconoscere dall’Inps la
malattia professionale.
Il libro è il risultato di un cantiere sociale, dove a raccontare
la realtà di Brindisi sono state le stesse persone che la vivono;
perché nessuno può conoscerla meglio di loro. (G. Cracco)
IL PANE E LA MORTE
Renato Curcio (a cura di), Sensibili alle foglie, 175 pagg., 16,00
euro
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Quando
Nicolas si trova di fronte alla maestra e ai compagni, si accorge
di aver dimenticato lo zaino. È nella macchina del padre che
ora è lontano. Se la caverà senza? Il padre glielo riporterà?
Perché la vacanza sulla neve durerà una settimana. Ed
è proprio l’enigma di un ritorno, quello del padre, a
farsi trama e al tempo stesso porta d’accesso del significato,
varco per l’altra storia, la parallela, quella vissuta nell’inconscio,
sede del vero conflitto. Ciò che viene narrato nel romanzo
diventa allora quel processo interiore di ricerca della figura paterna,
in tutte le sue fasi, distruzione in pezzi e ricomposizione –
non a caso il mito di Iside e Osiride è il preferito dal bambino
– dove momenti sereni per la sublimazione in un nuovo ideale
si alternano a stati depressivi per la frustrazione di aver creduto
a una chimera o per la colpa di un crimine solo desiderato. Dinamiche
nascoste che vengono a galla attraverso simboli e parole chiave: il
racconto ne è ricco tanto da mandare in tilt il sistema
di controllo delle nostre paure – grazie anche alla rivelazione
raccapricciante nei capitoli finali – trascinando la scrittura
di Carrère in un horror a tutti gli effetti. Crescita
uguale dolore e solitudine: la lezione di Nicolas. (R. Brioschi)
LA SETTIMANA BIANCA
Emmanuel Carrère, Adelphi, 139 pagg., 16,00 euro
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Jack
Henry Abbott inizia la sua corrispondenza dal carcere con Norman Mailer,
nel momento in cui viene a sapere che questi sta lavorando a un libro
sulla vita di Gary Mark Gilmore (Il canto del boia, premio
Pulitzer 1980), criminale americano passato alla storia per aver chiesto
la sua condanna a morte, in seguito a due omicidi commessi nello Utah.
Abbott, che ha passato quasi tutta la vita in prigione, si propone
di descrivere a Mailer i meccanismi sociali che regolano i rapporti
tra le guardie e i detenuti, nonché le sue impressioni sulla
politica e il mondo esterno. Il risultato è straordinario.
Durante gli anni passati in cella, ha avuto modo di studiare Marx,
Hegel, Kant, tutti i classici della filosofia, oltre che della letteratura.
La sua consapevolezza si è scolpita nell’esperienza di
un uomo naturalmente libero, che non ha mai accettato di
“aver buttato via la chiave”, nonostante le durissime
punizioni disciplinari a cui viene sottoposto, a causa del suo atteggiamento
ribelle.
In seguito alla pubblicazione di Nel ventre della bestia,
viene rilasciato in libertà condizionata. Sei settimane dopo,
uccide a coltellate un cameriere di ventidue anni. Tornato in carcere,
nel 2002 si impicca alle sbarre della sua cella. (I. Adami)
NEL VENTRE DELLA BESTIA
Jack Henry Abbott, DeriveApprodi, 192 pagg., 15,00 euro
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Ho
ucciso un principio non è un saggio ma un romanzo che
prende l’avvio nel momento in cui Gaetano Bresci approda a Milano,
una settimana
prima di attuare il suo proposito di vendicare, uccidendo il ‘Re
Buono’ nel parco di Monza, le vittime della repressione dei
moti del ‘98. Con frequenti flash-back l’autore ripercorre
la vita del tessitore anarchico: la breve infanzia per la precoce
entrata in fabbrica, i primi scioperi, l’emigrazione in America,
le riunioni nei circoli anarchici, la decisione di uccidere il re,
il ritorno in Italia.
L’epilogo della storia è noto, pur se costellato di punti
oscuri: attuato il suo proposito, Bresci viene spedito nel terribile
penitenziario borbonico sull’isola di Santo Stefano e sottoposto
a torture e a un regime di totale isolamento. Qui l’anarchico
trova la morte in circostanze misteriose, impiccato a una branda –
lui, privato di ogni oggetto e controllato da uno spioncino notte
e giorno da guardie che si danno il cambio. Ma più delle torture
fisiche e psicologiche, del ricordo di Sophie e della piccola Madeline,
del vuoto lasciato dai compagni di Paterson, ad angustiare le ultime
ore di Bresci è il rammarico per l’inutilità del
suo gesto, mancata scintilla dell’agognata rivolta popolare.
(G. Ciarallo)
HO UCCISO UN PRINCIPIO
Paolo Pasi, Elèuthera, 176 pagg., 14,00 euro
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Tronchetti
Provera ha sempre affermato di essere stato all’oscuro del
dossieraggio messo in piedi in Telecom dal gruppo della security gestito
da Tavaroli. Tutto può essere, ma è certo che le intelligence
delle multinazionali non hanno nulla da invidiare a quelle statali
né la competizione economica alle tensioni politiche fra Paesi.
D’altronde i servizi
hanno collaborato con le industrie fin dal dopoguerra (anche in funzione
anticomunista), e il vuoto prodotto dal crollo del Muro ha portato
molti agenti a migrare nelle security aziendali. Lì il lavoro
è lo stesso, mutano solo – ma nemmeno poi tanto –
gli obiettivi: proteggere le tecnologie, la produzione e gli stabilimenti
nei Paesi critici e muoversi con destrezza negli scenari esteri. Gli
aneddoti di Tavaroli risentono di una visione un po’ troppo
epica, ma sono esemplificativi del campo di azione di una security
aziendale, e le contestualizzazioni di Boatti tracciano il quadro
generale. Scritto quando il processo Telecom era agli inizi, il libro
è (anche) una autodifesa di Tavaroli, ma non è questo
ciò che conta, ancor più se lo si legge oggi: perché
nelle
storie di spie non esiste il confine tra lecito e illecito né
quello tra buoni e cattivi; checché ne dica Tronchetti Provera.
(G. Cracco)
SPIE
Giorgio Boatti e Giuliano Tavaroli, Mondadori, 241 pagg., 18,50 euro
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Un’inchiesta
rigorosa, che de-costruisce la struttura economica italiana per ri-costruire
l’unità di classe. L’analisi poggia su dati e statistiche
ed entra nel dettaglio dei diversi settori economici e della relativa
quantità e qualità dell’occupazione, non tralasciando
il lavoro ‘indipendente’, i disoccupati, i Neet.
L’intento, dichiarato, è quello di riportare la classe
in sé a essere classe per sé, perché
non esiste organizzazione senza coscienza, e il primo passo è
smontare l’etica ufficiale che afferma che la classe operaia
è divenuta marginale, come se il commesso di una catena di
distribuzione, l’impiegata di uno studio legale, il precario
di una software house o la falsa partita iva di una società
di marketing non fossero working class e il loro lavoro non
fosse il perno del processo di sfruttamento che genera il profitto
del Capitale. Una poderosa mole di dati sotto la lente di ingrandimento
della chiave di lettura marxiana, un’indagine che coniuga teoria
e prassi: a ogni settore produttivo è legata un’analisi
del possibile intervento politico e soprattutto l’esperienza
diretta del collettivo, che negli ultimi anni ha partecipato a diverse
lotte sul campo a fianco dei lavoratori.
Assolutamente, da leggere. (G. Cracco)
DOVE SONO I NOSTRI
Clash City Workers, La casa Usher, 202 pagg., 10,00 euro
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La
globalizzazione ha creato una nuova forma di imperialismo: l’imperialismo
globale. Diversamente dalle fasi precedenti, è innanzitutto
mondiale, quindi mira ad abbattere ogni barriera nazionale per poter
attuare il processo di accumulazione su scala planetaria; non ha un
unico ‘sovrano’ – si confonde il potere militare
degli Usa con il potere politico – ma una governance planetaria,
caratterizzata da una potenza nel ruolo di sceriffo armato, un banchiere
mondiale e un Paese che funge da mercato principale di assorbimento
delle merci prodotte; ed è qui che si scatena il conflitto
tra Stati per assumerne il ruolo. Il rapporto tra struttura e sovrastruttura,
tra Capitale (sovranazionale) e politica (nazionale), resta dunque
di complicità, ma diviene anche conflittuale. È in pratica
la globalizzazione del modo di produzione capitalistico, che di contro
globalizza anche il conflitto Capitale/lavoro. Un sistema che produce
crisi cicliche, finanziarie ed economiche, in cui esplodono le contraddizioni
del capitalismo, e mutamenti dei rapporti di forza.
L’analisi di Screpanti è puntuale e approfondita, e non
può certo essere riassunta in poche righe. Occorre leggerla.
Perché è necessario aggiornare il pensiero marxiano
alla complessità di oggi. (G. Cracco)
L’IMPERIALISMO GLOBALE E LA GRANDE CRISI
Ernesto Screpanti, DEPS Siena, 271 pagg.
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Alto
Adige, anni Sessanta. Pioggia di attentati a monumenti, caserme, binari
contro lo Stato italiano, ladro padrone nelle terre di confine. È
lì che vivono Paul e Johanna, i protagonisti delle storie del
romanzo: due fabule diverse portate avanti di pari passo con la tecnica
della narrazione interrotta e ripresa. Paul ha dodici anni e un padre
in carcere per ragioni politiche: non sa darsi pace del dolore della
madre. Johanna è una giovane infermiera con una spina nel cuore:
la balbuzie del fratello. Eppure si ha l’impressione di leggere
un unico racconto. L’unitarietà e l’equilibrio
sono nei ruoli assegnati ai personaggi, che creano richiami e corrispondenze,
e nella risoluzione alle loro mancanze: la parabola di Paul figlio
trova la sanatura nel farsi madre di Johanna con i piccoli pazienti.
E ancora, di fronte alla morte tragica di un proprio caro, entrambi
assumono il compito, con un gesto semplice, è il fazzoletto
raccolto o un nome detto, di custodi della memoria, di coloro che
conservano quella sofferenza di cui conoscono il peso. Una scrittura
ricca che convince e commuove, lontana da ogni astrazione, dove l’oggetto
della quotidianità non si riduce a soprammobile, ma è
portatore di significato tematico e di sentimento. (R. Brioschi)
AI MARGINI DELLA FERITA
Sepp Mall, Keller Editore, 192 pagg., 14,50 euro
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Un
detective privato dall’oscuro passato nelle formazioni combattenti
degli anni Settanta. Una serie di politicanti egocentrici e intrallazzoni,
sempre presenti laddove c’è una torta da spartire. Ripetuti
atti di vandalismo contro targhe commemorative di martiri della Resistenza.
Un omicidio apparentemente inspiegabile per attuazione e movente.
Sullo sfondo una Milano sempre più da bere (e da spremere)
e sempre più sospesa tra l’orribile e il magnifico della
sua grande Storia.
Matteo Lunardini, scrittore, saggista e collaboratore di varie testate
giornalistiche (tra cui Il manifesto e Il fatto quotidiano)
con questo suo noir sembra abbia voluto creare un pretesto per raccontare
la storia, strettamente legata a quella della città, di quel
gioiellino architettonico – voluto da Napoleone e progettato
da Luigi Canonica – quale è l’Arena Civica, teatro
di grandi spettacoli (dalle americanate di Buffalo Bill alle gare
sportive e record nell’atletica, fino ai più recenti
concerti rock) e di vicende drammatiche come l’eccidio del 1943,
le torture della Legione Muti e della banda Koch.
Ah, dimenticavo. Il detective è un omaccione in baffo e mosca,
al pari di un noto musicista americano. Non a caso tutti lo chiamano
Zappa. (G. Ciarallo)
I FANTASMI NELL’ARENA
Matteo Lunardini, Le Milieu, 168 pagg., 12,90 euro
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Ne
Il grande imbroglio, Gaston Criel racconta le avventure sentimentali
di Robert Reynaud, un poeta fuorilegge, incapace di adeguarsi ai meccanismi
e ai codici di un sistema sociale cappio, che gli brucia ossigeno.
Nella Parigi del secondo dopoguerra, il protagonista vive, sono parole
sue, un tale quarantotto di donne, da non ritrovare più se
stesso. Come se non bastasse, sperimenta fisicamente la condizione
del prigioniero, prima in un soggiorno nelle patrie galere e in seguito
a New York, nel ruolo di mantenuto dell’ereditiera Nancy. Scritto
con una lingua viva che non teme tabù di sorta, apprezzabile
l’intensità della prima persona e l’originalità
dei paragoni che non si esauriscono nella frase ma tengono in piedi
episodi interi, il percorso di Robert è inno che spalanca gli
occhi: ciò che conta è il denaro. L’amore? Nient’altro
che vitto e alloggio. Il lavoro? È la facciata rispettabile
dove si nasconde il borghese, una prostituzione, visto che il fine
è arricchirsi. Un ethos dissacrante, urlato a gran voce per
tutte le pagine, che, pur attraendo, non riesce però a sopperire
il conflitto narrativo, linfa vitale di una trama che qui non c’è.
E quella storia, manca. È un romanzo in fin dei conti, la filippica
non basta. (R. Brioschi)
IL GRANDE IMBROGLIO
Gaston Criel, Elliot, 192 pagg., 17,50 euro
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Scontato
oggi denunciare l’intreccio mafia e politica; lo era molto meno
nel 1986, quando Michele Pantaleone, politico, scrittore, giornalista,
da più di quarant’anni impegnato in una strenua lotta
contro Cosa nostra, inizia la sua collaborazione con il quindicinale
l’Obiettivo di Castelbuono (Palermo), che “rappresentò
e supplì lo spazio che altri ben più diffusi organi
di stampa avrebbero dovuto assicurargli”. Sono qui racchiusi
i suoi articoli fino al 1997, ed è solo leggendo le puntuali
accuse e le cronache senza sconti che ci si rende conto di quanto
la battaglia fosse quotidiana e faticosa. La distrazione dello Stato,
il terzo livello che appariva inattaccabile, le correnti di partito
che favorivano il rapporto criminale di scambio voto-appalti, le schede
di 164 politici mafiosi coperte da “segreto funzionale”
dalla Commissione Antimafia della Quinta legislatura (1972), le querele,
le diffamazioni, fino all’accusa di essere lui stesso mafioso.
Ma Pantaleone era tenace, e le 164 schede – vicenda oggi finita
nell’oblio – furono pubblicate diciassette anni dopo;
ma, “purgate dalle accuse”, e perse in quattro poderosi
volumi di “ciarpame e paccottiglia” priva di attendibilità.
Perché “quando tutto e mafia, nulla è mafia”,
e “la mafia è sempre stata governativa”, scriveva
Pantaleone. (G. Cracco)
ORA LA SACCIU, ORA LA DICU
Michele Pantaleone (a cura di Ignazio Maiorana), ISSPE, 266 pagg.
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La
facoltà dei mercati di autoregolarsi è una menzogna.
Lo dimostra bene la crisi attuale, determinata dalla frode dei subprime.
Alla luce di un neoliberismo sempre più radicale, è
lecito chiedersi quale sia la linea di confine che separa il crimine
organizzato dai funzionari del Capitale. Il grande stratagemma della
modernità consiste, infatti, “nel legalizzare la truffa,
nel liberare cioè il crimine dalla morsa delle leggi”.
L’analisi tiene conto di numerose realtà, da quelle esplicitamente
delinquenziali (Cosa nostra, mafia, ‘ndangreta, Mileu ecc.),
a quelle che, pur mantenendo rapporti stretti con le prime, godono
di una sostanziale immunità all’interno del sistema economico
e penale. È il caso dei Pfb (Paradisi fiscali bancari), la
“punta di diamante” della finanza dell’ombra (shadow
banking). Indicativa, da un punto di vista antropologico, è
la collusione dello show-business con i vari livelli delle organizzazioni.
In questo senso, si crea una vera e propria cultura romantica del
crimine, ben testimoniata dalla quantità di film e videogiochi
presenti sul mercato.
Un saggio importante per comprendere la natura predatoria del capitalismo
e la sua incapacità a svilupparsi in maniera etica. (I. Adami)
COLLETTI CRIMINALI
Jean-François Gayraud e Carlo Ruta, Castelvecchi editore, 220
pagg., 17,50 euro
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Standard
& Poor’s, Moody’s e Fitch gestiscono il 95% del mercato
del rating: di fatto, orientano investimenti e speculazioni finanziarie
e fanno pressione sulle politiche economiche dei Paesi, tramite la
valutazione dei debiti sovrani. Sono controllate da banche d’affari
e fondi di investimento, in un primo conflitto di interesse; sono
pagate dall’impresa, Stato, ente su cui emettono il giudizio,
in un secondo conflitto di interesse; tengono riservati i
criteri usati per il calcolo del rating; non rispondono giuridicamente
degli errori (Enron, Argentina, Parmalat, Cirio, Lehman Brothers)
appellandosi al Primo Emendamento della Costituzione americana: il
rating è una opinione, non una raccomandazione all’acquisto
o vendita, non una certificazione contabile, non una garanzia sulla
solvibilità del titolo, affermano. La politica ha dato loro
potere, ruolo e oligopolio, con la definizione su misura di Nrsro
(Nationally recognized statistical rating organization); ogni tentativo
di regolamentarle è stato una farsa, ultimo in ordine di tempo
il Dodd-Frank Act.
Un saggio utile per le informazioni, a patto di essere vaccinati contro
il richiamo al capitalismo etico che pervade gli autori – nonostante
la realtà che descrivono: dovrebbero porsi qualche domanda
su struttura e sovrastruttura. (G. Cracco)
I SIGNORI DEL RATING
Paolo Gila e Mario Miscali, Bollati Boringhieri, 183 pagg., 14,00
euro
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Un
lungo monologo, che nell’iter narrativo si fa filippica e lamento
funebre. Come gli aedi greci, nel romanzo di Gabriele Kögl, il
narratore è cantore di storie, è principio di vita –
fiato e respiro – dal quale si genera l’esistenza dei
personaggi che popolano il paese austriaco dove sono ambientate le
vicende. Perché è in tale scelta, cioè nel tipo
di narratore, l’originalità della scrittura: lì
si gioca l’efficacia e la credibilità del libro. Chi
racconta in prima persona è la madre che vede andar lontano
la figlia con il sogno balordo del teatro e che ha il cuore spezzato
per il suicidio del primogenito; al tempo stesso è la vecchia
a un passo dalla tomba e la nonna che sogna la felicità per
la nipotina o la vicina di casa che vanta i fiori e l’insalata
davanti alle finestre dirimpettaie. La narrazione riproduce il modo
di raccontare che hanno i vegliardi: il ripetere più volte
gli stessi pensieri, passando da un ricordo a un altro. Una cantilena
dove il tema della vita è saldato a quello della morte, la
partenza al ritorno, mentre l’intreccio degli avvenimenti, continuamente
spezzato e ripreso, la tecnica dell’Orlando Furioso, crea aspettativa
e sorpresa. L’epilogo è un triste lieto fine sull’eredità
lasciata ai posteri. (R. Brioschi)
ANIMA DI MADRE
Gabriele Kögl, Keller editore, 160 pagg., 14,00 euro
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Due
giovani dal vissuto diverso, un treno diretto a Berlino e una storia:
quella di una profonda amicizia e di un grande amore raccontata tutto
d’un fiato, attraverso uno stile semplice e una scrittura libera
da qualsiasi tecnicismo, che fa della mimesi del parlato la sua maggiore
caratteristica. Perché Paul e Henry, i protagonisti, si muovono
e agiscono sulla pagina proprio come farebbero nella realtà,
raccontando, tra una sigaretta e l’altra, dei propri sentimenti,
delle proprie esperienze e della vita in generale. Un viaggio in treno
e una sola notte in cui dirsi tutto, o meglio, in cui Henry dirà
tutto di sé, raccontando dei suoi amici che non torneranno
più, di un amore unilaterale e del tempo che passa troppo in
fretta, il tutto attraverso una narrazione essenziale, che, pur procedendo
a rilento per metà libro, cattura il lettore fino al colpo
di scena finale.
Un breve romanzo generazionale che non ha alcuna pretesa, ma che nasconde,
tra le righe delle riflessioni dei due protagonisti, disseminate qua
e là come lampi di luce nel buio cupo della notte, un intenso
affresco delle conseguenze del destino e delle ansie della post adolescenza.
(E. Russo)
L’ULTIMO TRENO DELLA NOTTE
Benjamin Lebert, Marco Tropea Editore, 120 pagg., 8,50 euro
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C’è
una costante che attraversa i personaggi dei testi teatrali qui raccolti.
È qualcosa di poco definibile, che va oltre la quotidiana difficoltà
di rispettare il patto di buon proseguimento con gli altri. In ognuna
delle quattordici opere presenti nel volume – che si tratti
di un rapporto affettivo giunto al termine, dell’amore sconfinato
per l’arte o di una solitudine conquistata a fatica –
il confronto inevitabile e definitivo è sempre con la vita
e con quel capestro che spesso in modo troppo sbrigativo definiamo
il mondo di oggi. Si potrebbe parlare di una sorta di trascendenza
mai espressa per intero, eppure profondamente intuibile da chiunque
abbia provato almeno una volta nella vita il disagio di essere fuori
posto pur sentendosi nel giusto, di vedere nel prossimo un nemico
a sua volta incolpevole. Sulle storie raccontate aleggia il ghigno
di una forza superiore che assomiglia molto all’aria che respiriamo.
Malgrado ciò, nessuno di questi personaggi cede mai alla debolezza
di vivere da vinto. Al contrario, ognuno di questi viene colto nel
momento di una scelta estrema che rappresenta un’affermazione
di identità, la rivolta contro la dittatura del buon senso,
anche quando il prezzo da pagare è la perdita della felicità
a ogni costo. (Gio Sandri)
OSTAGGI A TEATRO
Angelo Gaccione, Ferrari Editore, 202 pagg., 15,00 euro
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Nel
1900, in una conferenza a Milano, sull’onda del processo Notarbartolo,
il palermitano Gaetano Mosca racconta la mafia: è rurale e
satellitare, formata da tante piccole cosche spesso in conflitto fra
loro. È in pratica l’eredità diretta dei gabellotti,
sganciatisi dall’aristocrazia dopo l’Unità d’Italia
e divenuti piccoli proprietari di terre. Non è certo la mafia
di oggi. Eppure la lettura di questo breve pamphlet non ha solo ragioni
storiche. Ciò che supera il tempo, infatti, e che prevale sull’evidente
diversità economica, politica e culturale di una realtà
distante più di un secolo, è la collusione della mafia
con le istituzioni: polizia, prefetti, questori e via a salire, sindaci,
assessori e deputati. Mosca parla di “mafia in guanti gialli”,
quelli che oggi definiamo ‘colletti bianchi’, e di una
protezione che ha tradizioni antiche: “Protezione che individui
delle classi superiori, qualche volta investiti del mandato politico,
e che le stesse autorità governative accordano alle cosche
di mafia”. Dunque, conclude Mosca, non fu la mafia – non
ne aveva la forza – a impedire che i responsabili del delitto
Notarbartolo fossero scoperti, a garantire loro una lunga impunità,
ma “buona parte del nostro mondo politico”. Allora come
oggi, la forza dell’organizzazione è la sua relazione
con lo Stato. (Gio Sandri)
CHE COSA È LA MAFIA
Gaetano Mosca (a cura di Marcello Saija), Edizioni di storia e studi
sociali,
72 pagg., 8,00 euro
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Il
sapere operaio, si sa, non è mai diventato potere
operaio. Questa raccolta di testimonianze ripercorre la storia
del gruppo fondato da Toni Negri e Franco Piperno, che dal 1969 al
1973 fu attivo su tutto il territorio nazionale, da Porto Marghera
a Torino, da Milano a Roma. Pagina dopo pagina si alternano voci contrastanti,
ognuna con una visione propria dei fatti che portarono alla formazione
e allo scioglimento dell’organizzazione, avvenuto in seguito
al rogo di Primavalle e al convegno di Rosolina. La nicchia armata
Lavoro Illegale, a stretto contatto con i Gap di Giangiacomo Feltrinelli,
viene raccontata da Cecco Bellosi, Valerio Morucci, Mario Dalmaviva,
Oreste Scalzone. La difficile convivenza in seguito alla svolta leninista
tra chi conservava posizioni spontaneiste e coloro i quali puntavano
alla formazione di un partito; il merito di essere stati tra i primi
a identificare la figura sociale dell’operaio-massa; i punti
in comune e le differenze con Lotta continua e le altre realtà
della sinistra extraparlamentare… tutto è lasciato
alla narrazione dei protagonisti, in un volume che, oltre alla documentazione
storica e politica, porta dietro sé il profumo antico e del
tutto umano di quegli anni di lotte. (I. Adami)
INSURREZIONE ARMATA
Aldo Grandi, Rizzoli, 437 pagg., 9,50 euro
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Questa
ricerca antropologica vuole smantellare le falsità del bombardamento
mediatico anti-migranti. Le élite dominanti creano sempre più
numerosi richiami alle origini e alla purezza, per perseguire determinati
obiettivi politici. Manipolando il passato e utilizzando a loro consumo
concetti come tradizione, etnicità e cultura. A questo modello
l’autore contrappone il pensiero meticcio. Un mondo in grado
di accogliere, ascoltare e capire le differenze. Il meticciamento
non è mai soltanto biologico, è il rifiuto dei valori
egemonici dominanti di identità e stabilità. Non è
una fusione è confronto fra tanti, è dialogo. Il modello
meticcio è consapevole che ogni cultura è tesa alla
trasformazione continua. È un pensiero di un mondo dove si
riconosce eguale dignità alle diverse culture che auspica un
mescolamento, un’ibridazione continua che porti le culture nelle
condizioni di cambiare più rapidamente e felicemente possibile.
Una ricerca antropologica costruita anche attraverso le conversazioni
con i migranti in varie città del nord Italia. Interviste che
raccontano in prima persona la complessità del quotidiano.
Tra lavoro precario, sfruttamento e le forme di socialità che
i migranti sperimentano nelle nostre città. (C. Vaineri)
LE NOSTRE BRACCIA
Andrea Staid, Editore Agenzia X, 192 pagg., 13,00 euro
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Al
primo approccio la struttura, la trama e le tematiche sono quelle
del romanzo di formazione con tanto di cambio di ambiente, due secondo
il canone gli scenari: l’Angola, terra nativa e punto di partenza,
e il Portogallo, approdo e campo da gioco minato ad hoc di prove che
il personaggio principale affronterà da solo. Perché
sull’ultimo aereo che lascia il Paese africano prima dell’indipendenza,
Rui, il quindicenne protagonista, ci sale con la madre e la sorella,
più spaesate di lui, ma senza il padre, suo riferimento, rimasto
nelle mani dei ribelli. Il ragazzo rivedrà mai l’amato
genitore? È in questa lunga attesa il valore del romanzo. Telemaco
che aspetta sulla spiaggia di Itaca il ritorno di Ulisse.
La narrazione cioè non si chiude nel circoscritto cortile del
conflitto madrepatria/Stato suddito, ma nell’archetipo del figlio
alla ricerca del padre prende la via dell’universalità,
liberandosi anche dai confini stretti di un genere letterario. E allora
la storia di Rui, raccontata in prima persona, al tempo verbale del
presente, in un continuum narrativo, in cui il discorso diretto entra
nella pagina senza segni di interpunzione, corre diretta al cuore.
Chi non ha sperato almeno una volta di vedere il padre giungere all’orizzonte?
(R. Brioschi)
IL RITORNO
Dulce Maria Cardoso, Voland Feltrinelli, 224 pagg., 14,00 euro
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“Ninna
nanna, dorma fiöö / El tö pà el g’ha un
sàcc in spala / Che l’è piee de tanti ròp”
canta Davide Van De Sfroos. Ninna nanna, dormi figliolo / tuo padre
ha un sacco in spalla / che è pieno di tante cose. Bellosi
descrive l’epoca del contrabbando che caratterizzò il
comasco, raccontando le storie di personaggi divenuti vere e proprie
leggende, come il Ment, il Barogia, il Cinto e il Vanel. L’economia
di paesi come Colonno, Lezzeno, la zona della Tremezzina e la Val
D’Intelvi si è retta fino agli anni Sessanta su questo
tipo di attività, tessendo una maglia sociale caratterizzata
da un’omertà sana in quanto popolare, non suddita della
paura o del potere, ma espressione di un forte senso di comunità.
Al loro fianco, fiorivano i cuochi di Argegno e Tremezzo, veri e propri
fondamentalisti della tradizione, artisti della pietanza, anche se
non mancavano gli outsider, come il Nino e il Bruno. Inoltre: becchini
poeti, anarchici decoratori di chiese, partigiani, rivoluzionari del
Risorgimento, il tutto condito dalla giusta dose di ironia e tenerezza.
Bellosi traccia un affresco corale della sua terra, ponendo l’accento
sugli irregolari che l’hanno vissuta, “in attesa di una
nuova storia con i piedi nell’acqua e la testa fra le nuvole”.
(I. Adami)
CON I PIEDI NELL’ACQUA
Cecco Bellosi, Milieu edizioni, 240 pagg., 14,90 euro
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Dancing
after hours, il titolo originale di questa raccolta di racconti
sospesi sul filo del dolore, rende più espressamente il tema
che lega le tredici istantanee che compongono l’opera. I suoi
personaggi, sono attratti dal peccato come falene dalla luce di una
candela che inevitabilmente brucerà loro le ali. Eppure a ognuno
è concessa un’altra possibilità, un ballo fuori
orario, simbolo di speranza. Gli sbagli che li porteranno al fallimento,
alla perdita della felicità, o le disgrazie che li hanno travolti,
sono già avvenuti e il racconto li coglie intanto che cercano
di rimettere insieme i pezzi. Oppure sono nel pieno della tentazione,
stanno guardando in faccia il desiderio dietro cui si nasconde l’ennesimo
vuoto, prima di scegliere ugualmente di seguirlo, fedeli alla propria
natura umana.
Le vite dei protagonisti sono colte di sorpresa, in un intreccio in
cui i personaggi tornano da un racconto all’altro, ripresi ogni
volta da un’angolazione nuova, attraverso la descrizione di
gesti quotidiani in apparenza privi di significato, ma minuziosi come
mappe dell’essere che conducono il lettore nelle profondità
esistenziali dei suoi personaggi. (V. Sartorio)
BALLANDO A NOTTE FONDA
Andre Dubus, Mattioli 1885, 233 pagg., 17,90 euro
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“La
gioventù recita incurante la sua ricerca d’identità
nel teatro delle strade cercando non di ottenere obiettivi ma ruoli,
protesi verso un’identità che sfugge loro”. Questi
e altri i temi presenti in questa intervista del 1969 al “gran
sacerdote del culto Pop e metafisico del media”, Marshall McLuhan,
all’epoca già famoso per Gli strumenti del comunicare.
L’intervista è un utile strumento per fare una summa
dei principali argomenti che il professore ha affrontato nel corso
della sua prolifica attività. Ma è bene evidenziare
che, a parte gli utili spunti di riflessione teorica circa l’impatto
dei media sulla società, la rimozione della coscienza individuale
e la risultante atrofia dell’inconscio, le sue teorie sulla
detribalizzazione e le conseguenti previsioni appariscenti su una
nuova comunità tribale e postmoderna, fondata su una coscienza
collettiva, hanno bisogno di essere bilanciate criticamente e messe
sempre in discussione. Ma lui stesso alla prima domanda: “Marshall
McLuhan cosa sta facendo?”, ammette di essere un esploratore
che agisce come uno “scassinatore” più che come
un profeta. C’è da chiedersi forse se queste profezie
non convenissero ai fautori di un nuovo spazio politico cui McLuhan
prestava il proprio lavoro. (C. Pezzuto)
INTERVISTA A PLAYBOY
Marshall McLuhan, Franco Angeli, 96 pagg., 15,00 euro
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Il
rapporto magistratura/politica è argomento che va al di là
dell’affaire Berlusconi, ed è un aspetto che riguarda
tutte le democrazie e investe ontologicamente la questione della legittimità
del Terzo potere. Mettendo a confronto i Paesi di common law
con quelli di civil law, i due autori ripercorrono le differenze
tra le strutture giudiziarie, dal reclutamento alla carriera, dal
legame con la politica al livello di indipendenza al sistema dei contrappesi
tra poteri, in un’analisi che ruota intorno a quel punto focale
che in Italia è diventato tabù affrontare: la magistratura
fa politica. Ancor più in Paesi dalle maggioranze parlamentari
deboli, che producono leggi caratterizzate da clausole generali incerte
e contraddittorie, che per essere applicate necessitano di una forte
interpretazione del magistrato. Ed è allora che il nodo della
legittimità diventa cruciale, perché in una democrazia
il potere politico è legittimato dalla volontà popolare.
Come si concilia, dunque, una magistratura burocratica, come quella
italiana, sottratta al controllo dei cittadini, con la sua funzione
politica?
Questo saggio è del 1997, e non si trova più in libreria.
Ma per affrontare la questione, lontani da tifoserie, occorre spesso
risalire ad analisi pre-ventennio berlusconiano. Biblioteche e bancarelle
di libri possono essere buoni posti dove cercare. (G. Cracco)
LA DEMOCRAZIA GIUDIZIARIA
Carlo Guarnieri e Patrizia Pederzoli, Il Mulino, 186 pagg.
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Il
futuro sarà uno schermo totale che ingloba la società:
iPhone, iPad, computer, internet e immagini, come ci stanno trasformando?
Il capitalismo ha fatto sua la rete, passando dall’industrialismo
all’informazionalismo: “Noi non siamo i clienti
di Google, siamo il suo prodotto”. Il feticismo delle merci
individuato da Marx alla sua massima espressione. Una trasformazione
che poggia sulla cultura del consumo, nella quale non solo gli individui
tendono sempre più a diventare testimonial di loro stessi,
utilizzando la stessa logica promozionale della pubblicità,
in un modello esistenziale che è quello dei reality show, ma
l’utente protagonista attivo collabora alla costruzione
della notorietà e dell’immagine dei prodotti e dei brand.
L’autoproduzione ha sostituito l’immaginazione, l’autoespressione
la creatività artistica, e ne è nata una ‘dittatura
della mediocrità’, divenuta ‘egemonia sottoculturale’
proprio perché perfetta sovrastruttura dell’attuale capitalismo
neoliberista. Anche il controllo ha fatto sua la rete, in un effetto
omologante che da una parte influenza il modo di pensare e dall’altra
rende internet, grazie ai social network, ai cookie e alle informazioni
rubate, il Panopticon del XXI secolo. Come diceva Foucault, il potere
circola: “Il potere transita attraverso, non si applica agli
individui”. (G. Cracco)
L’ERA DELLO SCHERMO
Vanni Codeluppi, Franco Angeli, 96 pagg., 15,00 euro
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A
Nordìa la democrazia è interattiva, la sicurezza è
partecipata, il Parlamento è la General Management Ministerial
Area, l’homo è oeconomicus; pass, telecamere,
ordine e vigilanza regolano la vita sociale, l’informazione
è un circo mediatico di reality-fiction e sondocrazia, gli
individui si distinguono tra Inluogo, i nativi, e Fuoriluogo,
gli stranieri in temporaneo soggiorno lavorativo, separati tra loro
da un rigoroso regime di apartheid. Rita, ripiegata sul privato, si
è adeguata distrattamente ai progressivi cambiamenti, finché
un’eredità inattesa la porta a vivere in un appartamento
nel prestigioso condominio Sicurezza e civiltà: lì,
il macrocosmo diviene microcosmo e si capovolge. Noi e lei i pronomi
usati dai vicini di casa: noi, da sempre qua, e prima di noi i genitori,
i nonni; lei, l’ultima arrivata. La coscienza di Rita si risveglia.
La sorveglianza dei condomini si fa stringente, le regole paralizzanti,
le dilazioni al Security Center pericolose, e Rita comprende che a
Nordìa nessuno è al sicuro; perché, cambiando
prospettiva, ognuno all’improvviso può essere considerato
un Fuoriluogo, o un sovversivo.
Un romanzo distopico, con omaggi a Orwell e Huxley, che incastra perfettamente
in un orrifico futuro tutti quei tasselli che già compongono
il presente. (G. Cracco)
IL CONDOMINIO DI VIA DELLA NOTTE
Maria Attanasio, Sellerio, 196 pagg., 14,00 euro
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Cittadina
di Višegrad, Bosnia orientale. Lì il 14 giugno 1992 avviene
un omicidio di massa: quarantadue persone, tra cui donne e bambini,
vengono chiusi in una casa e arsi vivi. Una sola superstite. Quando
Robert, studente berlinese di origine croate, anni dopo ritorna sul
luogo della tragedia, vede ancora i muri bruciati. Ma cosa c’entra
lui con quella strage? E la sua fidanzata serba Ana? Perché
quel fatto è un ostacolo alla loro storia d’amore? Quella
notte il fuoco pare aver distrutto molte più vite di quanto
ne dicano i dati ufficiali. È l’enigma del romanzo. Insieme
al dramma
del male. Nessuno sembra esserne immune, nessuno può ritenersi
fuori dal gioco o senza colpa, e perciò assolto. L’idea
che vede gli innocenti da un lato e i carnefici dall’altro viene
scardinata da un racconto che si giostra sull’alternanza dei
tempi verbali, passato-presente, e sui cambi di narratore: intermezzi
in prima persona, è Robert stesso che parla, sostituiscono
la scrittura in terza. E in quei monologhi si affaccia anche l’interrogativo
sulla giustizia. Le prove e le testimonianze di un tribunale sono
sufficienti per comprendere e giudicare le azioni di un uomo? Il verdetto,
assoluzione o condanna che sia, basta a quietare le coscienze? (R.
Brioschi)
MARE CALMO
Nicol Ljubic, Keller Editore, 192 pagg., 14,50 euro
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“Fino
alla pubertà Curzio visse più nei vicoli che a casa.
Lì aveva fatto il puledro, la pecora , il leone e il coniglio,
a seconda dei rapporti di forza. Le aveva date e prese di santa ragione”.
Tre frasi che indicano il destino di un ragazzo nato in Calabria da
una famiglia povera, la cui ‘unica’ risorsa sono i valori
e la dignità. Con questo bagaglio, Curzio percorre la propria
vita cercando di non diventare uno schiavo. Si fa una cultura, conosce
l’arte e cerca di seguire il proprio desiderio, e lo fa fino
al giorno in cui, testimone di un omicidio, decide di denunciarne
i responsabili. Il lettore però si accorge presto che questo
fatto, utile a lanciare la trama, non è che il tratto narrativo
scelto dall’autore per raccontare l’Italia. Il risultato
è una storia di ricchezze edificate sul sudore e il sangue
degli ultimi che, per non morire di fame, sono costretti a migrare
(come accade a Curzio). Un intreccio che coinvolge mafiosi, fascisti,
democristiani, fino agli spietati colonnelli di Videla, nell’Argentina
degli anni Settanta, a mostrare che il potere, pur nelle sue sfaccettature,
è sempre violento.
In quest’ultimo romanzo, Russo raccoglie l’eredità
di Saverio Strati e riconsegna la Calabria alla letteratura di serie
A. (Gio Sandri)
ALL’INFERNO CON RITORNO
Cataldo Russo, Guida, 232 pagg., 13,00 euro
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Il
titolo originale dell’opera è: “Come la rete sta
cambiando il nostro cervello”. È questo il tema del libro.
Partendo da una breve e sintetica storia della scrittura, della stampa
e della lettura, Nicholas Carr, dati scientifici alla mano, spiega
come il cervello umano sia predisposto al cambiamento e a un’evoluzione,
in conformità con i mezzi tecnologici a disposizione. La rete
e la diffusione dei pc non fanno eccezione. Tuttavia, in quest’ultimo
stadio tecnologico, più che di cambiamento si può parlare
di totale riprogrammazione del cervello. Una mutazione radicale del
meccanismo di approccio cerebrale ai testi, dovuta alle caratteristiche
delle dinamiche tipiche della rete e dei suoi sacerdoti. Velocità,
sovraccarico di informazioni, distrazione, sono gli impulsi che internet
consegna impacchettati insieme alla merce più diffusa del XXI
secolo: l’informazione.
Un meccanismo automatico, legato alla sopravvivenza economica del
sistema creato dai guru di Google e dai loro soci ormai miliardari.
Più pagine viste, più click sulla pubblicità,
più servizi. Il prezzo da pagare è l’incapacità
di concentrarsi, di leggere e di memorizzare. L’antidoto? La
diffusione di una cultura della consapevolezza. (Gio Sandri)
INTERNET CI RENDE STUPIDI?
Nicholas Carr, Raffaello Cortina Editore, 317 pagg., 24,00 euro
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La
criminalità organizzata non è appannaggio del popolo,
anzi: le classi dirigenti sono altrettanto in grado di legarsi in
modo strutturato per compiere reati. Si va dalla borghesia mafiosa,
endogena alle organizzazioni, alla massoneria, luogo di incontro per
antonomasia del piano legale (politico, imprenditoriale, giudiziario,
militare ecc.) con il piano criminale, alla ‘zona grigia’,
calpestata da soggetti legali che stabiliscono solide e continuative
relazioni di complicità con le organizzazioni. Due mondi, quello
legale e quello criminale, strettamente collegati perché rappresentano
‘capitale sociale’ l’uno per l’altro. C’è
poi la criminalità delle élite finanziarie, frodi sistemiche
come quella dei mutui subprime statunitensi, non concepite come tali
solo perché divenute lecite, per cultura economica –
il neoliberismo della scuola di Chicago – e per leggi politiche
conseguenti. E ci sono i paradisi fiscali e bancari, realtà
strutturate per nascondere i profitti criminali, anch’essi del
tutto legali.
Il white collar crime è un argomento complesso e articolato
che tocca l’ambito sociologico, politico, economico e culturale,
e non può certo esaurirsi in un breve saggio; ma i due Autori
tracciano un percorso che, per quanto rapido, offre buoni spunti per
chi voglia poi autonomamente approfondire. (G. Cracco)
I NUOVI ORIZZONTI DEL CRIMINE ORGANIZZATO
Jean-François Gayraud e Jacques de Saint Victor
Edizioni di storia e studi sociali, 151 pagg., 14,00 euro
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“Qualcosa
è cominciato ad andare storto nella rivoluzione digitale intorno
al passaggio del millennio. Il Word Wide Web è stato inondato
da una fiumana di tecnologie di pessimo livello talvolta etichettate
come Web 2.0”. Inizia così il saggio di Lanier –
pioniere della realtà virtuale – e prosegue sul medesimo
tono per l’intero libro. Diverse le denunce rivolte ai tecnologi
vincenti della Silicon Valley. Una tra tutte, la convinzione che i
computer siano in grado di rappresentare il pensiero umano, di comportarsi
come un cervello. Sotto la lente dell’analisi cadono “la
mente alveare” (e il sogno di vederla tramutare in un megacervellone
similumano)
e la “dittatura cibernetica” che pretende di cogliere
la realtà dei rapporti umani con rappresentazioni digitali.
A quasi vent’anni dall’ingresso della rete nelle nostre
vite, i conti con l’umano sono in passivo. Il ‘tutto gratis
e subito’ sta facendo scomparire i giornali e minaccia di fare
altrettanto con musica e cinema. E nemmeno la letteratura si sente
molto bene, visto il progetto dei cervelloni di Google di costruire
una libreria virtuale universale. Intanto, lo sfruttamento del lavoro
gratuito degli utenti arricchisce i furboni della Googleplex. E non
si vede la fine. (Gio Sandri)
TU NON SEI UN GADGET
Jaron Lanier, Mondadori Strade Blu, 267 pagg., 17,50 euro
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Mai
ascoltata questa campana. Di solito la voce divulgata è un’altra.
Parlano per lo più coloro che la propaganda immola a vittime,
e i loro figli, tanti. Invece nel romanzo in prima persona di Pozzo
chi racconta sta dall’altra parte della barricata, è
sì figlio, ma di uno dei capi dei gruppi armati degli anni
Settanta. E le vicende, viste attraverso gli occhi di Pietro, il protagonista,
scorrono sul doppio binario della storia, quella con la S maiuscola
e quella individuale. Accanto ai litigi con il fratello minore e ai
bisogni d’affetto di Pietro bambino, ai primi battiti del cuore,
quando ormai è un ragazzo, ci sono i fatti, patrimonio, rimosso
e camuffato, di un’intera nazione: come quelli accaduti a Chiavari
allo Stella Maris o a Roma per il rapimento Moro o a Parigi con la
scuola di lingue Hyperion. La narrazione, resa viva per l’uso
del simbolo, del discorso indiretto libero e per il dosaggio opportuno
degli enigmi, sa incuriosire il lettore.
Un pensiero percorre il racconto: cosa resta dei padri ai figli? Qual
è l’eredità di Pietro? La condizione di esule,
che lui si trova addosso. Un’eredità che ha origini lontane,
oltre i padri rivoluzionari. Per capire bisogna correre agli antenati
partigiani, i primi a fare la scelta. (R. Brioschi)
L’ESILIO DEI FIGLI
Claudia Pozzo, Gremese, 252 pagg., 15,00 euro
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A
un anno esatto dalla morte dell’Autore, viene ristampato il
romanzo di Stefano Tassinari che conclude la “trilogia della
memoria” iniziata con L’ora del ritorno (2001)
e I segni sulla pelle (2003). Dopo aver affrontato, nei primi
due libri, una vicenda di lotta partigiana e i cupi giorni del G8
di Genova, lo scrittore si cala con un misto di pudore e passione
in quella ferita mai rimarginata che gli anni Settanta, marchiati
a fuoco come ‘gli anni
di piombo’, ancora rappresentano per la nazione. L’autore
sa bene di cosa parla (un mondo già narrato nella raccolta
di racconti D’altri tempi) avendo partecipato attivamente
ai movimenti e alle lotte di quegli anni, rivendicando fino alla morte,
senza mai nascondere ingenuità ed errori, la ricchezza di quell’esperienza.
Il protagonista della storia, a trent’anni di distanza viene
risucchiato in un passato che credeva oramai alle sue spalle: qualcuno
conosce i suoi trascorsi e li usa come arma di ricatto cercando di
distruggere l’equilibrio di un presente normalizzato.
L’amore degli insorti, scritto da Tassinari senza alcun
tremore ai polsi, è un romanzo che racconta una generazione
di ribelli che, seppur in modi diversi, ha provato utopisticamente
a dare l’assalto al cielo. (G. Ciarallo)
L’AMORE DEGLI INSORTI
Stefano Tassinari, Edizioni Alegre, 192 pagg., 14,00 euro
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Pare
che il papa appena eletto abbia affermato che le donne sono naturalmente
inadatte per compiti politici. Opinione evidentemente non condivisa
dallo scrittore siciliano il quale, per contro, narra la breve esperienza
di Eleonora di Mora nel ruolo di Viceré di Sicilia, sotto il
Regno di Carlo III di Spagna. La rivoluzione della luna è la
storia di una donna straordinaria che seppe guadagnarsi rispetto legiferando
in favore del popolo, del mondo del lavoro, ma soprattutto delle donne,
con la creazione di istituti per orfane e per anziane prostitute,
nonché con l’elargizione di una dote per le ragazze bisognose,
in età da marito. Il tutto senza gravare i cittadini di nuove
tasse ma utilizzando la dotazione spettante al Viceré e il
frutto degli espropri di beni ai facoltosi nobili arricchitisi illecitamente.
Insomma una patrimoniale ante litteram e un fulgido esempio di lotta
al malaffare. Ma Eleonora verrà prontamente rimossa per aver
contrastato l’influente vescovo di Palermo Don Rutilio Turro
Mendoza, personaggio corrotto, il quale ha dalla sua parte la potenza
politica ed economica della Chiesa.
Sarà per questo che il discendente di Don Rutilio Turro Mendoza
ce l’ha così tanto con ogni potenziale Donna Eleonora
di Mora? (G. Ciarallo)
LA RIVOLUZIONE DELLA LUNA
Andrea Camilleri, Sellerio, 288 pagg., 14,00 euro
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Oggetto
di contesa politica per tutto il Novecento, oggi lo Stato è
considerato qualcosa di scontato. Semplicemente c’è.
Ben venga quindi la traduzione italiana delle lezioni tenute da Bourdieu
al College de France nell’anno accademico 1989/90, in cui questo
oggetto misterioso che è lo Stato, viene messo a fuoco a partire
dalla sua genesi. La domanda cardine è la più elementare:
che cos’è lo Stato? Il sociologo francese pone alcuni
punti fermi, e sin dalle prime battute destruttura l’antitesi
Stato hegeliano e Stato marxista, mettendo in primo piano una serie
di pratiche con cui l’elemento umano, attraverso il fare, nel
corso della storia costruisce e modifica le istituzioni, rimodellando
di continuo la struttura statale. Lo Stato è un nome che identifica
principi nascosti che legittimano un dominio; è il detentore
della violenza simbolica con cui si legittima; è un’illusione
radicata nelle teste dei cittadini; è una serie di atti istituzionali
che lo legittimano, ma, soprattutto, è un mistero che Bourdieu,
fornendo di continuo spunti stimolanti nel procedere del suo discorso,
contribuisce a districare, consegnando
al lettore un prezioso metodo di analisi per comprendere in profondità
le dinamiche tipiche dei giochi di potere. (Gio Sandri)
SULLO STATO
Pierre Bourdieu, Feltrinelli, 208 pagg., 22,00 euro
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Nonostante
ne abbiano dichiarato il progressivo spegnimento, con l’avvento
della rete, la televisione è più accesa che mai ed è
ancora il medium dominante. La tv commerciale ha compiuto il passaggio
dal politico al privato, dalla cultura (pedagogica) al consumo, dalla
notizia all’infotainment, e ci ha consegnato una televisione
che crea la “dittatura della maggioranza” (audience);
oltre a essere autoreferenziale fino al parossismo, e strumento perfetto
dell’industria culturale, con l’occultamento delle dinamiche
del sistema produttivo attraverso l’omologazione interclassista
dei consumi e la creazione dell’elettore massa. McLuhan, Scuola
di Francoforte, Postman... ci sono tutti nell’acuta analisi
di Freccero, che attraversa gli ultimi trent’anni di vita televisiva
e politica del Paese, e va oltre. Perché la domanda fondamentale
è: un medium modifica la cultura della sua epoca o ne è
specchio?
Di sicuro, apocalittici non ce ne sono più. Da tempo ormai
la televisione non è più criticata come medium ma solo
sul piano dei contenuti, a dimostrazione di quanto il pensiero unico
neoliberista sia divenuto egemone, e ogni cosa – non solo la
televisione – sia oggi “naturalmente di destra”.
Forse le rete sarà il medium di un’altra epoca, spostando
il piano dalla massa alla moltitudine. Forse. (G. Cracco)
TELEVISIONE
Carlo Freccero, Bollati Boringhieri, 172 pagg., 9,00 euro
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La
questione giustizia in Italia è da anni al centro di infinite
polemiche. Niente di strano. Qui, i dibattimenti durano più
che negli altri Stati occidentali; si aprono più processi di
ogni altro Paese europeo; e oltre un terzo delle sentenze impugnate
dalla Cassazione vengono riformate. Le magagne sono tante e gravi,
quindi, e l’obiettivo di questo saggio consiste nel metterle
in luce. L’autore apre il cahier de doléance
sin da subito e attacca con i giuristi. Esempi alla mano, mostra quanto
malamente vengano scritte le leggi e ne sottolinea la malafede di
fondo che vi sta dietro. È da questo argomento, centrale, che
comincia il viaggio attraverso i vari gironi del malfunzionamento
giuridico-giudiziario. Si transita dalle complicazioni processuali
– vera ragione della dilagante impunità – ai meandri
linguistici dei codici, talmente pregni d’ambiguità da
consentire un’eccessiva libertà creativa ai giudici;
s’incontra una magistratura figlia di una formazione difettosa
mirata a sfornare tecnici più che giuristi. Per, infine, arrivare
agli avvocati, che molto spesso, tra questi flutti, nuotano a meraviglia.
Per chi non si accontenta di guardare la giustizia con le lenti della
falsa retorica del giudice, baluardo del sistema democratico. (Gio
Sandri)
IL DIRITTO E LA MENZOGNA
Umberto Vincenti, Donzelli Editore, 148 pagg., 16,00 euro
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Il
libro, a metà strada tra tagliente reportage sulle fabbriche
della morte nel nostro Paese e diario intimo, nel raccontare le vicende
di Renato (padre dell’Autore e operaio saldatore tubista) traccia
una mappa dei luoghi ove per decenni i lavoratori hanno operato senza
la minima tutela per la loro salute. Renato lavora presso l’Ilva
di Taranto, la Iplom di Busalla, le acciaierie di Piombino e Terni,
il polo chimico di Siracusa, in una raffineria vicino Casale Monferrato,
paese della Eternit tristemente noto per la concentrazione di morti
per amianto, e lì assorbe le sostanze tossiche che lo porteranno,
tra atroci sofferenze, a morte prematura. Il racconto di Prunetti
è grido di dolore e vendetta, per suo padre e per ogni operaio
sfruttato la cui dignità è calpestata in nome delle
leggi del ‘mercato’, maschera che cela un capitalismo
sempre più aggressivo, che costruisce ricchezze sulle sofferenze
altrui, sul vile ricatto “lavoro senza diritti contro libertà
assoluta di sfruttare e seminare malattia e morte”. Amianto
è L’urlo di Munch in forma letteraria, è
la Guernika di Picasso per il modo in cui mostra i corpi
destrutturati dalla malattia. E nelle sue pagine gli operai sono operai
e non forza lavoro, gli imprenditori sono ‘i padroni’
e le morti bianche, omicidi premeditati. (G. Ciarallo)
AMIANTO. UNA STORIA OPERAIA
Alberto Prunetti, Agenzia X, 160 pagg., 13,00 euro
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Ascanio
Celestini, com’è nel suo stile, gira e rigira su un argomento
centrale come un’ape sorvola un fiore, per poi tuffarsi a capofi
tto sulla problematica che ha deciso di affrontare e sviscerare in
ogni suo minimo particolare. Questa volta, oggetto delle attenzioni
dell’attore e scrittore romano è il complesso mondo delle
carceri. Nel denunciare la disumanità di tale istituzione Celestini
crea un universo fatto di personaggi archetipici dei ruoli che vi
gravitano attorno, o meglio, che lo abitano. Ci sono il Secondino
Merda e il Negro Matto Africano, la voce narrante con velleità
rivoluzionarie e tutto il Pantheon del nostro Risorgimento, Mazzini
e Pisacane in testa, a dimostrare che con i termini dell’oggi
è molto sottile la linea di demarcazione tra l’essere
considerato eroe e padre della Patria o terrorista. Quasi sempre dipende
da chi esce vincitore dalla contesa e può scrivere (o riscrivere)
la Storia. Tra i tanti momenti agrodolci del monologo, risulta geniale
l’episodio del Negro Matto Africano che chiede di restare chiuso
nella stessa cella per più di vent’anni in modo da diventarne
proprietario, per usucapione, e poter lasciare in eredità alla
famiglia un appartamento di due metri per due in pieno centro a Roma.
Il solito, ipnotico affabulatore, imperdibile Celestini. (G. Ciarallo)
PRO PATRIA
Ascanio Celestini, Einaudi, 136 pagg., 17,50 euro
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Chi
pensa che all’inferno faccia caldo, beh si sbaglia, e di grosso.
C’è un freddo cane. Matteo Furst ci abita e lo conosce
bene. A Roma gira sui pullman della solidarietà. Aiuta i dannati
a campare. Nemmeno lui arriva a fine mese, non ha un soldo, ma una
famiglia sfasciata. La scrittura è asciutta e corre veloce.
Il registro realistico si imbatte nel fantastico. Perché in
quel mondo di piscio, puzzo e merda c’è spazio per l’immaginazione.
E allora nella cloaca personificazioni di colpe o di pensieri convivono
con i barboni delle nostre stazioni. Così come la vita di Matteo
si apre a quella degli altri. Non cancelli chiusi, ma strade da percorrere.
Narrazione di storie: la sua e di chi incontra. Per il protagonista
niente è più odioso che conformarsi al modello che la
società capitalistica impone: scuola, lavoro, denaro, matrimonio,
figli a cui dare il bacio della buonanotte
prima di metterli a letto. Una gabbia stretta, come la stanza piccola
e claustrofobica, dove vive con quattro immigrati, poveri cristi come
lui. L’unico senso lo trova nel conoscere, nella certezza che
ci sarà sempre un successivo incontro, idea che nel romanzo
non viene mai meno. Contro il gelo che uccide, che gira le spalle,
l’insegnamento è l’ascolto. (R. Brioschi)
UN MALEDETTO FREDDO CANE
Luca Palumbo, Luigi Lorusso editore, pagg. 276, 12,00 euro
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“Il
patriarca Kirill ha più volte evangelizzato i fedeli in nome
del politicante Putin, di certo non un santo, e insiste a esortarli
a non partecipare alle manifestazioni di protesta. L’azione
politica congiunta delle autorità governative ed ecclesiastiche
alla vigilia delle elezioni della Duma mirava a dipingere dei cittadini
ortodossi non interessati alla politica.
Questo ci indigna quanto i brogli nelle elezioni della Duma”.
Parole che riassumono il senso del gesto compiuto dal collettivo femminista
Pussy Riot, che ha portato al carcere duro tre donne, colpevoli di
aver cantato in una chiesa vuota la loro “preghiera punk”
affinché la madre di Dio liberasse la Russia da Putin. La
raccolta di scritti, poesie, lettere e dichiarazioni ne spiega le
ragioni, non certo per ispirare tenerezza, ma per chiedere giustizia
e rispetto per la loro storia e le loro azioni. Le trascrizioni degli
atti di un processo kafkiano rendono l’idea di cosa sia la Russia
oggi, meglio di un trattato di geopolitica, mentre le lucidissime
dichiarazioni conclusive delle imputate aiutano a riflettere sul
bisogno di appoggio religioso di ogni dittatura, così come
sull’esigenza del potere di additare come pilotata dall’esterno
ogni rivolta interna. (S. Campolongo)
UNA PREGHIERA PUNK PER LA LIBERTÀ
Pussy Riot, Il Saggiatore, 144 pagg., 12,00 euro
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Partendo
dalla riforma pensionistica firmata dalla ministro Fornero, Franco
Capelli muove una lucida riflessione sull’evoluzione dell’ethos
lavorativo attuale. Cardine del saggio è la generazione nata
nel 1952, quella che a seguito della riforma entra nella dimensione
del ‘fine lavoro mai’.
Costruito come un cantiere sociale in cui vengono raccolte testimonianze
dirette di un ampio spettro di lavoratori, il libro allarga a macchia
d’olio la propria denuncia all’intero complesso sociale
che, come un flusso gassoso in costante crescita, domina, struttura
e determina il mondo occidentale. Un’oppressione esistenziale
che dal mondo del lavoro s’insinua fin dentro le famiglie,
negli spazi di tempo libero, nei panni di sensazioni sempre più
pervasive come ansia e angoscia. Così, operai, impiegati, disoccupati,
manager di multinazionali e imprenditori di aziende familiari, spiegano
come mai fattori che un tempo rappresentavano un valore indissolubile
– come l’esperienza lavorativa – oggi siano bistrattati.
Raccontano come oggi chiunque sia solamente una pedina utile e utilizzabile
finché porta profitto, in una dimensione in cui il lavoro
non è più ‘solamente’ una merce, ma, più
propriamente, un oggetto di consumo da buttare non appena si logora
fisicamente e psicologicamente. (Gio Sandri)
(PENSIO)NATI NEL 1952
Franco Capelli, Infinito edizioni, 110 pagg. 12,00 euro
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La
storiografia ufficiale vuole l’Italia un Paese scevro da un
razzismo di matrice istituzionale, e rappresenta le leggi razziali
del 1938 come un evento isolato nato sotto influenza dell’alleato
nazista; eppure basta scorrere lo sviluppo dell’impianto giuridico
coloniale dall’Unità al ’45, per rendersi conto
di quanto le politiche razziste traccino una linea di continuità
tra l’Italia liberale e il regime fascista, che attua semplicemente
l’estremizzazione di provvedimenti razziali già esistenti.
Lungo l’intero percorso, è l’apparato scientifi
co a fornire un supporto indispensabile. Se nella fase post-unitaria
il ‘razzismo scientifico’ ha prima servito la causa della
creazione di un’identità nazionale e poi ha legittimato
il colonialismo di stampo paternalistico e civilizzatore,
in epoca fascista un’accademia divenuta organica al regime ha
contribuito alla nascita del mito ariano e della politica di ‘difesa
della razza’, supportando ferocia, sterminio e segregazione
nelle colonie africane e i provvedimenti razziali in Italia.
Linearità, rigore e una ricca documentazione caratterizzano
il percorso tracciato da Bonmassar, lungo quella che è stata
“una vera e propria costruzione giuridica della razza”.
Una lettura indispensabile per iniziare a fare i conti con la propria
Storia, politica e culturale. (G. Cracco)
RAZZA E DIRITTO NELL’ESPERIENZA COLONIALE
ITALIANA
Michele Bonmassar, Sensibili alle foglie, 223 pagg., 18,00 euro
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Racconti
brevi per narrare la vita: cosa ce ne facciamo, come la occupiamo,
che relazioni instauriamo con gli altri, familiari, amanti, amici
che siano. Sfruttiamo i nostri talenti o chi ci sta vicino? Quim Monzó
usa lo stile grottesco a guisa di maieutica, così da portare
alla luce il nascosto che si cela in noi. E il non detto, che le castranti
convenzioni sociali hanno tenuto finora a freno, è tra quelle
righe. Allora c’è il figlio che guarda il padre, ricoverato
in una casa di riposo, vestirsi da donna, o il marito che non vede
l’ora che la moglie muoia, in fondo l’ha sposata perché
braccata da una malattia, o la donna senza più il compagno
che svuota in un giorno la casa; o ancora il clan di parenti che trascorre
il rito dell’incontro estivo con i Ciaaao e le foto:
individuali, di bambini da soli, di bambini con i grandi, di coppie
sposate, tutte le donne, poi gli uomini… Il faro di scena segue
il protagonista nei suoi movimenti con i personaggi comprimari e smonta
la mascherata: i desideri di felicità sono pretesti, i sensi
di colpa nient’altro che intonaco di facciata, e le buone azioni
paraventi di pulsioni opportuniste. A fine lettura, sorpresa all’arsenico:
il nostro clone è lì, tra quei cretini. Anzi, ce n’è
più d’uno. (R. Brioschi)
MILLE CRETINI
Quim Monzó, Marcos y Marcos, 160 pagg., 14,50 euro
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Atene
è un focolaio di protesta contro le misure economiche imposte
dall’Unione Europea: scioperi, disoccupazione, iperinflazione
e indebita-mento sono lo scenario all’interno del quale il commissario
Charitos condurrà le sue indagini. Un ex direttore della Banca
centrale viene trovato decapitato nella sua villa, segue a pochi giorni
un’altra decapitazione, questa volta di un giovane banchiere
inglese conosciuto ai più per la passione e la scaltrezza in
materia di hedge fund. In entrambi i casi il killer lascia un unico
e identico indizio: una lettera D stampata su un foglio appuntato
sul petto della vittima. Il ministro degli Interni e Scotland Yard
si
muoveranno in più direzioni, avallando la matrice terroristica
degli omicidi.
Ma è indagando dal credito al consumo fino al complicato meccanismo
dei fondi speculativi, per arrivare alle società di rating
e ai suprime, che Charitos troverà gli elementi per la risoluzione
del caso.
Markaris traccia un giallo finanziario che addentrandosi nell’indagine
sociale porta fin nel profondo della crisi greca, raccontando il vivere
quotidiano di una nazione sull’orlo del fallimento.
(C. Vainieri)
PRESTITI SCADUTI
Petros Markaris, Bompiani, 336 pagg., 18,90 euro
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Sarah
e Emily sono due sorelle che attraversano la vita dall’infanzia
alla maturità. Bella, prosperosa, perfettamente integrata,
secondo i dettami della società americana, la prima si sposa,
va a vivere in un bel villino e dà alla luce tre figli. Irrequieta,
perennemente a disagio in un mondo di cui fatica a sopportare la superficialità
e l’omologazione, è la seconda. Per entrambe l’esistenza
è un continuo scontro, in cerca di una correlazione possibile
tra le loro illusioni e le risposte della realtà. Al termine
del percorso, lungo il quale l’autore racconta dell’America,
il risultato sarà l’infelicità. In questo romanzo,
Yates ripropone la tematica cara a Flaubert tradotta nel linguaggio
della società complessa del Novecento. E per farlo, a suo avviso,
non c’è modo migliore se non entrando nel cuore del focolare
domestico; in quel ricettacolo di traumi e paure su cui si forma la
personalità di ogni individuo. Se per Tolstoj tutte le famiglie
felici si assomigliano, per lo scrittore americano le famiglie felici
non esistono affatto. E in questa saga familiare, Yates dimostra di
conoscere talmente bene la realtà che rappresenta in ogni suo
romanzo, da permetterci di dire che Emily – la sorella più
piccola – c’est lui. (Gio Sandri)
EASTER PARADE
Richard Yates, Minimum fax, 283 pagg., 11,50 euro
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Berlino,
anni Venti: nella complessità sociale, economica e politica
della Repubblica di Weimar, Joseph Roth collabora con il Frankfurter
Zeitung e altri quotidiani, scrivendo reportage. Con stile caustico
e ironico lo scrittore austriaco passeggia nelle vie borghesi,
nei bassifondi e nei quartieri ghetto dei profughi ebrei, russi, turchi,
va per bettole e taverne e per grandi magazzini, attraversa la Berlino
delle avanguardie e quella dei mendicanti, non risparmiando critiche
al modello di modernità che caratterizza la città
in quegli anni: il movimento di architettura e design del Bauhaus,
la crescita dell’economia finanziaria, l’esplosione della
grande distribuzione e dell’industria del divertimento, che
offrono merci e piaceri omologati a persone divenute esse stesse beni
di consumo a buon mercato. Borghesia o lumpenproletariat
non fa differenza, denuncia Roth: i ‘tempi nuovi’ producono
in tutte le classi sociali un conformismo che lascia sul terreno un
individuo privo di individualità e una politica democratica
che, ai primi passi in Germania, già si presenta in forma di
farsa.
La raccolta di Passigli ci restituisce, a distanza di ottant’anni,
lo sguardo lucido del Roth giornalista: profondo conoscitore e osservatore
della realtà, i suoi reportage anticipano i tempi e li travalicano.
(G. Cracco)
A PASSEGGIO PER BERLINO
Joseph Roth, Passigli editori, 121 pagg., 10,00 euro
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Per
quanto si sia sforzata e si sforzi tuttora la cultura dominante, Marx
non è morto. Al contrario, l’ennesima crisi economica
mostra la centralità e l’importanza della sua analisi,
l’unica ancora oggi in grado di decifrare i meccanismi e le
contraddizioni del sistema capitalistico e delle sue crisi. Fusaro
ripercorre i cardini del ‘cantiere aperto’ di Marx, la
cui architrave è la critica del reale (“La critica non
è una passione del cervello, è il cervello della passione”,
scriveva il pensatore di Treviri), sviluppatasi nel tempo alla religione,
alla filosofia, allo Stato di diritto, per culminare nell’analisi
che comprende tutte le precedenti: la critica all’economia politica
e al sistema produttivo capitalistico. Struttura/sovrastruttura, materialismo
storico, pluslavoro e plusvalore, alienazione, feticismo delle merci,
libertà apparente e asservimento economico: tutti i punti chiave
del pensiero marxiano vengono affrontati e approfonditi con rigore
e chiarezza, con l’intento, esplicitato dall’autore, di
ripartire da Marx, perché “non si può
capire l’epoca moderna senza passare attraverso Marx”.
Una lettura indispensabile per smontare pezzo a pezzo la propaganda
economica e politica che oggi pervade la società. (G. Cracco)
BENTORNATO MARX!
Diego Fusaro, Bompiani, 374 pagg., 11,50 euro
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Tra
i diversi aspetti del M5s oggi oggetto di attenzione, l’Istituto
Cattaneo sceglie di approfondire il percorso politico di Grillo e
dei suoi blog-lettori, divenuti elettori militanti, nell’intento
di comprendere il fenomeno del grillismo. L’analisi
si sofferma sulle tematiche via via divenute cavallo di battaglia
– dal neoambientalismo all’attacco alla Casta –
sulle scelte politiche – dalle prime liste civiche alle regionali
siciliane alle elezioni nazionali – sul rapporto tra la base
e il leader carismatico e sull’uso (unidirezionale e autoritario)
delle tecnologie informatiche e della cosiddetta web democracy.
Il quadro che ne esce non entusiasma: ai messaggi post ideologici,
dal facile consenso, lanciati dall’alto, rispondono cittadini
che si collocano a destra come a sinistra, reagendo positivamente
a una politica che ha tutte le caratteristiche di un web populismo:
l’appello al popolo ‘sano’, contrapposto all’istituzione
‘corrotta’, la conseguente creazione di un ‘nemico’,
individuato nei partiti, il legame diretto e personale tra il leader
e il suo popolo, il linguaggio provocatorio e l’iper-semplificazione
dei concetti. Pare proprio che gli italiani non sappiano resistere
al fascino del condottiero. (G. Cracco)
IL PARTITO DI GRILLO
Piergiorgio Corbetta e Elisabetta Gualmini (a cura di), Il Mulino,
239 pagg., 16,00 euro
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