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(Dis)Orientamenti |
Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega
Nord |
Milano, 2 dicembre 2013. Il convegno si sarebbe dovuto tenere nella Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi. Ma non era abbastanza capiente. Il pubblico milanese, circa duemila persone fra seduti e in piedi, composto principalmente da militanti della Lega Nord e di Fratelli d’Italia (lo sfortunato erede larussiano di Alleanza nazionale) e qualche esponente della destra radicale locale (come Marco Mantovani, segretario cittadino di Forza Nuova), è stato fatto convergere nella più capiente Sala del Consiglio provinciale. Motivo dell’incontro? Il circolo culturale ‘Il Talebano’, diretto dal giovane moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6-Milano per la Lega Nord, ha indetto il terzo di una serie di incontri con i vertici del Carroccio alla presenza del candidato segretario federale del partito regionalista ed eurodeputato Matteo Salvini, lo studioso di economia Marco Della Luna e il leader della nouvelle droite Alain de Benoist (che ha presentato al pubblico leghista il suo libro Sull’orlo del baratro, edito nel 2012 dalla bolognese Arianna Editrice, vicinissima alla nuova destra che si occupa di localismo, di bioregionalismo, di ‘ecologismo profondo’, di critica all’economia finanziaria, di signoraggio bancario e di antimodernità). Incontro, quindi, successivo a quelli col giornalista Massimo Fini – fondatore del Movimento zero, il cui Manifesto dell’antimodernità è firmato anche da de Benoist – contattato più volte da gruppi di estrema destra – e con Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore, un tempo di area nazional-alleata, poi avvicinatosi a Fiamma tricolore e infine ‘infatuatosi’ di CasaPound. Il tema del convegno – attualissimo visti i tempi di dura crisi economica – era La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli. Fra il pubblico – anche se soltanto per salutare il filosofo e scappare subito dopo a Bruxelles, per una seduta del Parlamento europeo – il leghista adamantino, plenipotenziario e uomo-cerniera fra il Carroccio e le destre radicali europee, Mario Borghezio. Una serata interessante. Non tanto per le critiche e le analisi fatte sul sistema economico liberista imposto da Bruxelles ed esposte da Della Luna e da de Benoist, quanto per l’intervento conclusivo di Matteo Salvini, allora in corsa alle primarie del Carroccio e in seguito, a metà dicembre, incoronato segretario di un partito in evoluzione. L’economista Marco Della Luna – che per i tipi di Arianna Editrice ha scritto diversi libri contro l’Eurocrazia e la dittatura delle banche (come Euroschiavi e Cimiteuro) – e il filosofo neodestrista Alain de Benoist – fautore di una ‘Europa dei popoli’ e delle patrie regionali – dopo aver ricordato un ‘anticonformista’ morto di recente, il filosofo Costanzo Preve, hanno iniziato il loro intervento descrivendo gli elementi storici che hanno contribuito a creare le condizioni del Turbocapitalismo, un capitalismo, secondo il filosofo normanno, dai tratti disumani, sconnesso dall’economia reale e disciplinato esclusivamente da logiche antinazionali, nonché guidato da speculatori di borsa il cui obiettivo è annichilire i popoli attraverso la morsa usuraia del debito pubblico. Questo ‘nuovo’ libero mercato, soggiogato a una nuova classe di imprenditori senza più radici né legami territoriali, scaturirebbe quale inevitabile risultato di scelte politiche che a partire dagli anni Ottanta, hanno introdotto la progressiva deregolamentazione e la crescente delocalizzazione. I tassi di interesse sul debito pubblico, che crescono esponenzialmente e che costituiscono un peso per gli Stati e per le future generazioni, sono lo strumento utilizzato dai vertici dell’Unione europea per assoggettare un’Europa in crisi economica, a cui si aggiunge l’immigrazione dal Terzo mondo, con le multinazionali che, in crisi di profitto, affamano quei Paesi determinando le cause per una migrazione di popolamento deleteria per loro e per i popoli autoctoni (1). La nouvelle droite, dalla metà degli anni Ottanta, in un’opera di restyling ideologico, ha smussato i toni apertamente reazionari al punto di perdere settori non indifferenti del Grece, il think tank che fa riferimento a de Benoist (2). Certi articoli del ‘maestro’ e del ‘guru’ della nouvelle droite – come de Benoist è stato definito dall’eurodeputato Salvini – che troveremo su riviste come Éléments, Nouvelle École o Krisis (quest’ultima aperta agli intellettuali altermondisti di estrema sinistra), utilizzano la stessa sintassi antiliberista che il lettore potrebbe ritrovare sulle pagine de Il Manifesto o sul mensile francese Le Monde diplomatique. Ma un’analisi accurata dell’intervento debenoistiano rivela che il suo pensiero è tutt’altro che progressista. De Benoist attacca senz’altro il Turbocapitalismo,
alla pari di molte persone di sinistra, ma lo fa arrivando a dire
che questo fenomeno è “sconnesso dall’economia
reale” e per superarlo suggerisce di tornare alle comunità
locali – suscitando il plauso del pubblico leghista, in astinenza
di secessionismo dai tempi del ritorno all’alleanza con la Casa
delle libertà – e ridare potere alle comunità
interclassiste di ‘produttori’ (perché è
questa, in centoni, la soluzione auspicata dalla nouvelle droite e
dai circoli europei che si ispirano al Grece). Soluzione che non può
che interessare il pubblico leghista, composto da piccoli imprenditori
spaventati per gli squilibri creati dalla globalizzazione, e che rivela
la natura classista del suo pensiero, che in teoria – con il
desiderio di creare una ‘terza via’ tramite nuove sintesi
fra valori di destra e di sinistra – supera idealmente le due
categorie, ma in concreto si sposta a destra, dal momento che, oltre
ad appellarsi a valori ancestrali e tradizionali (il Mito
dell’Europa Imperiale dei popoli, predicata da de Benoist, affonda
le radici nel mito dell’Impero carolingio e ghibellino e, secondo
alcuni intellettuali neofascisti che riprendono le suggestioni del
Grece, in quello delle Waffen-SS [3]), fa altresì leva su un
pubblico radicato in una zona d’Italia (il Nord-Est) composto
da un forte Perché se è vero che il problema da una parte sono le banche, l’euro o il capitalismo finanziario e apolide, l’analisi di de Benoist ‘dimentica’ che il sistema produttivo vigente tout court è fondato sul libero mercato e sul sistema capitalista e, quindi, sul profitto. È superando tale modello che si uscirà dalla crisi, e non replicandolo in forma ridotta dentro gli steccati di una mitica ‘piccola patria’ padana o in una Europa dei popoli e dei produttori, autarchica verso l’esterno, ma altrettanto liberista e produttivista in una realtà localistica in cui comunque si perpetra lo sfruttamento del lavoratore. Ma è l’intervento di Matteo Salvini
a interessarci. Perché con lui la Lega Nord compie una palese
svolta a destra in senso populista. Un’unità composita di elementi politici
destrorsi, coinvolge al proprio interno sia forze localistiche etnoregionaliste,
come la Lega e il Fpö, che forze nazionaliste come il Front e
i ‘libertari’ del Pvv che contrastano l’Islam perché
lì le donne non hanno diritti, sostenendo le battaglie abortiste. Salvini inizia indossando virtualmente il berretto rosso dei bretoni, evocativo delle rivolte fiscali nella Francia del XVII secolo e che da diverse settimane sta infiammando la Bretagna, e modello per le manifestazioni del Movimento dei forconi in Italia, scoppiate qualche giorno dopo, che hanno visto, come in Francia col sostegno della Le Pen, la presenza dell’estrema destra. Quella dei berretti rossi è stata definita da Alain de Benoist, in una recente intervista, una legittima e inevitabile rivolta contro il Turbocapitalismo. E Salvini indossa il berretto rosso a suggello dell’alleanza
ideologica con il teorico del Grece, perché è ora “di
iniziare a fare sul serio” e le proteste antifiscali contro
il socialista Hollande sembrerebbero offrire un ottimo pretesto al
leghista rampante. Oltre all’aperto elogio del Front national
e di altre formazioni populiste di destra, Salvini elogia la Russia
di Putin, dicendo che forse è il caso che l’Italia inizi
a guardare a Mosca, dove regnerebbero “la legge e l’ordine”. “Il Vescovo di Como Maggiolini,” ricorda
Salvini, “mi aveva rimproverato per l’atteggiamento troppo
moderato della Lega [verso gli immigrati, n.d.a.]. Dobbiamo
alzare il tiro e iniziare a far capire a Bruxelles e ai suoi gabellieri
di Roma che la pazienza è finita”. La Lega Nord di Salvini non è 2.0 come quella di Maroni, ma è 3.0. I punti chiave del programma saranno “indipendenza e disobbedienza”, una politica – concetto oggi molto di moda – fatta con “un occhio di riguardo per la nostra gente”, capace di andare contro i poteri forti di Roma e di Bruxelles, che spremono il Nord fino all’ultima goccia, una Lega “indipendentista a casa propria, […] con l’obiettivo di salvare il lavoro rottamando l’euro a Bruxelles”. Salvini si scaglia contro la dittatura degli “eurocrati”, che col neoliberismo si presenta come “totalitarismo dal volto umano”: “Se ci muoviamo in questa direzione dobbiamo aspettarci una dura repressione da parte di chi non accetta il dissenso” continua Salvini. “C’è chi è convinto, come gli europirla in Ucraina, che la libertà di espressione sia tutto, per poi ritrovarsi schiavi nell’Europa delle agenzie di rating e delle banche. Hanno distrutto il ceto medio, riducendoci tutti da cittadini a consumatori se non addirittura debitori”. Questo Salvini di lotta e di governo, antiborghese al punto giusto, è però rispettoso dell’ordine naturale, un rispetto che si tramuta, all’occasione, in sana omofobia in salsa padana, col plauso del referendum che in Croazia ha bocciato le nozze gay, visto che “preferisco fare il cattivo che inginocchiarmi al politicamente corretto” chiosa Salvini (6). Quella che abbiamo di fronte, visto che il moderatore del convegno, il neoleghista Vincenzo Sofo, definisce il suo partito come desideroso di andare “al di là della destra e della sinistra” e desideroso di dar vita a nuove sintesi per costruire un’Europa dei popoli, è una Lega diversa da quella che conoscevamo. Approfittando della crisi economico-finanziaria, la ‘nuova’ Lega Nord sta cercando di riempire il vuoto lasciato a destra dopo la scomparsa di Alleanza nazionale e di fronte all’esistenza di una galassia composta da tantissimi neo e postfascisti, così multivariegata che raccapezzarsi è veramente un’impresa. La destra postfascista, inoltre, che sta cercando di ricostruire il partito nato nella svolta di Fiuggi, in seguito sacrificato sull’altare dell’interesse berlusconiano, difficilmente riuscirà a prendere molti consensi. Fratelli d’Italia di Ignazio La Russa, inoltre, è troppo autoreferenziale, e il fatto che si autodefinisca ‘centrodestra nazionale’, non fa che accentuare il ‘disgusto’ di un certo elettorato neofascista, stufo di tuffi carpiati e di rinnegamenti storico-ideologici e di nuove alleanze nazionali 2.0. Per i fascisti, in sintesi, il male assoluto si chiama proprio Fiuggi, come testimoniano molti forum neofascisti su internet, nei quali, i vari ex camerati Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno, Urso e compagnia bella vengono dipinti come traditori. Giorgia Meloni, che su molti giornali moderati, come Il Giornale, è stata definita la “Le Pen italiana”, si dimostra, agli occhi del popolo ‘nero’, una vera “bufala”. Perché la Le Pen originale – come anche Salvini – vuole l’uscita immediata dall’euro, mentre l’ex vicepresidente della Camera ed ex leader di Azione giovani, dato che milita in un partito che non ha il coraggio di definirsi più di destra, predica, tutt’al più, riforme di struttura per dare più sovranità all’Italia senza rompere definitivamente né col Pdl né con l’Unione europea. La guerra all’euro, se si escludono sigle velleitarie – come Forza nuova, Fiamma tricolore, CasaPound, Fronte sociale nazionale e il Movimento sociale europeo – è portata avanti solo dalla Lega Nord, che, da maestra di vero populismo, cavalca la crisi economica e parla alla pancia della gente, la quale non vuol sentir più parlare di sacrifici, di austerity e di riforme, proposte, per di più, dall’immancabile ‘casta’ dei politici ‘scrocconi’ e corrotti. La Lega, politicamente scorretta, appoggia la rivolta dei forconi, ed è, per così dire, dalla parte della gente (intesa in senso interclassista). Questo vuoto viene riempito con l’adesione di fette della ‘fascisteria’ italiana al Carroccio, le quali, indipendentemente dall’origine etnica dei suoi aderenti, vedono nella Lega Nord un mezzo per far valere le proprie battaglie identitarie senza per questo apparire apertamente fascisti. Questo è evidente dalle dichiarazioni del professor Roberto Chiarini, docente di storia dei partiti politici alla Statale di Milano, il quale, nel suo intervento durante il ciclo di conferenze organizzato all’università di Pavia dal gruppo di studi europeisti TRAM:E, relativo alla riemersione delle destre radicali e populiste in Europa, ha evidenziato che soltanto all’estero i politologi classificano il Carroccio come un partito populista di destra, in base alla definizione di Piero Ignazi (7). L’opportunismo politico italiano, caratterizzato da alleanze che sarebbero ritenute inaccettabili dai reciproci elettorati qualora la verità ideologica fosse rivelata, ha tutto l’interesse a non dire che il Carroccio è un partito di estrema destra, approfittando del fatto che i fasci littori e le svastiche non ci sono. L’adesione di importanti fette del neofascismo alla Lega Nord è evidente dalla presenza di personalità come Mario Borghezio, con un passato in Ordine nuovo di Rauti e Graziani, nella ‘Legione,’ acronimo della ‘Lega giovanile nazionale europea,’ collegata al Fronte nazionale del golpista Junio Valerio Borghese, nel movimento nazional-rivoluzionario Jeune Europe (fondato dall’ex SS Jean Thiriart) e, negli anni Ottanta, collaboratore di Orion, il mensile della destra radicale antimondialista filoislamica e antigiudaica. Fu Maurizio Murelli, fondatore del periodico ed editore di area (dirige la Società Editrice Barbarossa), a consigliare all’avvocato torinese di aderire nel 1987 a Piemonte Autonomista (che poi confluirà nella Lega Nord nel 1991), visto l’interesse dell’estrema destra nazionalrivoluzionaria – caratterizzata per una fortissima simpatia verso la causa islamica e palestinese – per l’identitarismo e l’etnoregionalismo (proprio come la nuova destra, da cui prese alcuni spunti riflessivi), anche se poi, dopo l’11 settembre 2001, di fronte alla conversione antislamica e occidentalista dell’eurodeputato leghista, questi definì Mario Borghezio “personaggio stomachevole” (8). L’eurodeputato Borghezio, monarchico e tradizionalista, è stato espulso dal gruppo parlamentare euroscettico Europa per le libertà e la democrazia (ma non dalla Lega Nord) per le sue frasi rilasciate a maggio sul settimanale Panorama contro il meticciato (“che inquina la differenza fra le razze”; “è peggio di una bestemmia”; “io esalto la razza indoeuropea. Anzi, diciamo etnia. Il termine razza è meglio non usarlo”. Borghezio, inoltre, si vantava di esser stato in Zaire negli anni Settanta al servizio del dittatore Mobutu, e di aver provato il “prodotto locale” – cioè le bellissime donne del posto, “profili europei” nulla a che vedere con la Kyenge – ovviamente usando le “dovute precauzioni” per non sentirsi in colpa, per non prendere malattie e non dover far nascere dei “bastardi meticci”… et voilà, la Lega Nord) e contro il ministro del Pd Kyenge, dove questi (Borghezio) si autodefiniva fieramente “differenzialista” (“Padroni a casa nostra”, per intenderci), secondo il concetto coniato da Alain de Benoist e usato dalla Nouvelle droite in sostituzione dell’ormai ‘impopolare’ termine ‘razzismo’, e “più a destra di Dio”, elogiando i razzisti Joseph Arthur de Gobineau e Julius Evola e il fascista Junio Valerio Borghese, e sostenendo che anche i totalitarismi del Novecento, pur coi loro difetti, hanno fatto qualcosa di buono (9). Sono anni che molti intellettuali accusano Alain de Benoist di essere tuttora collegato con la destra radicale. Questi si è sempre difeso, sostenendo che per lui la differenza è l’esaltazione delle identità ‘di tutti’, e di non volere l’espulsione degli immigrati, come al contrario vuole il Front, ma la creazione di comunità in Europa dove questi possano decantare la loro identità (10). Ma allora, che ci fa seduto al fianco di Salvini, che si vanta di ispirarsi al Front national, che intrattiene rapporti con gli xenofobi del Bloc Identitaire? Tali contatti non sono controproducenti per la legittimità intellettuale della nuova destra, che non si riduce al populismo e all’insulto ai danni dell’avversario di colore? Per capire bene il rapporto fra destra radicale
e leghismo, senza addentrarci nel groviglio di contatti fra destra
radicale – missina e non – e il Carroccio e le sue associazioni
collaterali, su cui nessuno ha ancora scritto veramente qualcosa di
serio, basta fare l’identikit del circolo Il Talebano, quello
che ha organizzato il convegno fra Salvini e de Benoist. Il direttore
è il giovane Vincenzo Sofo, di origini calabresi, che aderisce
al Carroccio dopo un lungo ‘tirocinio’ nella destra radicale
meneghina. Perché la famiglia, scrive Sofo sul suo blog, gli
ha trasmesso un “forte senso di appartenenza”. Dopo essersi avvicinato a quattordici anni al gruppo Alleanza studentesca – in seguito Giovane Europa – gruppo che gli permette di coltivare contatti umani utili per la sua successiva carriera politica nel Carroccio e dove conosce “i valori della comunità, dell’altruismo, del rispetto e della fedeltà alle proprie idee e ai propri valori […] rifiutando il concetto di politica come semplice amministrazione del potere”, Sofo, dopo una parentesi ne La Destra di Francesco Storace, dove diventa responsabile del movimento giovanile cittadino nel 2007, Gioventù Italiana, abbandona – come diversi fascisti tra l’altro – il partito dell’ex leader della ‘destra sociale’ laziale perché “romanocentrico, reazionario e non costruttivo”. Nel 2009, dopo la costruzione del comitato Viviamo
Milano, Sofo crea il circolo Il Talebano, laboratorio culturale di
estrema destra – nonostante Sofo sottolinei che all’interno
della destra radicale cittadina egli si è sempre fatto notare
per la sua “posizione originale ed estremamente critica nei
confronti del neofascismo” – che auspica la nascita di
un’Europa dei popoli federale che preservi le molteplici identità
locali… cose già sentite in Francia da un certo Alain
de Benoist e dalla sua scuola di pensiero, la Nouvelle droite (12).
(1) Cfr. A. de Benoist, Sull’orlo
del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, con
una prefazione di M. Fini, Arianna Editrice, 2012
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