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E
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Controcronaca
del processo
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e alla clinica Santa Rita
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libro inchiesta
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Controcronaca del processo in Corte di Assise |
18 dicembre 2014 |
Contro la ricostruzione della docu-fiction Rai
La prima regola del giornalismo è non omettere informazioni
rilevanti e non inserire dati irrilevanti. È una regola di
onestà intellettuale che segna il confine tra fare informazione
e fare propaganda. Perché un lavoro giornalistico non può
mai contenere una vicenda nella sua interezza, ancor meno una vicenda
giudiziaria: servirebbero migliaia di pagine o intere giornate di
rappresentazione video. Il giornalista è quindi sempre costretto
a una sintesi, ed è qui che si misura la serietà e
l’indipendenza del suo lavoro: nelle informazioni che decide
di inserire e in quelle che decide di omettere; nella sua scelta
di cosa considera rilevante. La questione della perizia super partes, che non
viene mai nominata nei 130 minuti della docu-fiction, è quindi
addirittura omessa anche quando i tre autori decidono di mandare in
video le parole proprio di quella paziente. Dove sta la verità? Come sono conciliabili una condanna e una assoluzione? Per noi resta un mistero, ed è quello che abbiamo sempre scritto, denunciando l’assurdità e l’incongruenza e chiedendoci perché il tribunale penale si sia sempre ostinato a negare l’unica prova che conta in un processo medico: una valutazione scientifica terza sui casi clinici, non di parte come quelle di accusa e difesa. Ancor più quando si sente affermare candidamente in aula da un giudice che non sta capendo praticamente nulla di quanto sta dicendo il consulente che ha davanti – ed è ciò che è accaduto in questo processo – e a maggior ragione quando due perizie super partes disposte da altri tribunali assolvono l’imputato. Filippetto, Barbarossa e Benelli pare invece sappiano dove stia la verità, e hanno conciliato l’inconciliabile semplicemente nascondendo la contraddizione, scegliendo di non fornire ai cittadini, in un format che pretende di inserire il prefisso docu in una fiction, questa informazione. È l’aspetto più grave del docu-film, perché di tale importanza da evidenziarne la radice: la lettura univoca e parziale. Ma non è l’unico. Toccheremo solo gli aspetti rilevanti, basandoci sui fatti, tralasciando di commentare il ‘sentimento’ e il tono colpevolista che caratterizza l’intera docu-fiction. L’intercettazione della telefonata del 7 ottobre 2007 tra il professor Legnani e il notaio Pipitone, nella quale Legnani valuta negativamente l’operato di Brega in alcuni casi clinici, inserita nella docu-fiction intorno al minuto 54, è stata tagliata nella parte in cui il professore afferma: “Io... è una situazione molto difficile, perché... io, ho premesso, non ho visto le radiografie, eh? Mi sono basato solo sui referti che sono allegati alle cartelle, non ho visto dal vivo le radiografie perché ci vogliono... centinaia di ore, ecco, per veder tutto assieme, capisce? Quindi mi sono basato solo sulla cartella clinica con i referti allegati”. Questa parte di telefonata, che Filippetto, Barbarossa
e Benelli hanno ritenuto di dover tagliare, è rilevante per
due ragioni. A titolo di esempio, emblematico è il capo 46, uno dei quattro casi su cui pende un’accusa di omicidio volontario che ha avuto condanna all’ergastolo per Brega, citato anche nella docu-fiction. In udienza i consulenti della procura hanno dovuto non solo riconoscere la diversità tra quanto scritto nel referto e quanto evidenziato dall’immagine, ma anche che quel nodulo polmonare non poteva essere approcciato con una agobiopsia, come avevano scritto nelle consulenze, a causa della posizione, e che la sua immagine portava a supporne la natura maligna con ben pochi dubbi, se non alcuno, con conseguente valutazione sulla scelta chirurgica effettuata da Brega (qui abbiamo pubblicato consulenze e deposizioni in aula). Mandare in onda la puntualizzazione di Legnani avrebbe quindi potuto aprire nella docu-fiction la questione delle immagini, un aspetto importante – e scomodo – di questo processo, ma Filippetto, Barbarossa e Benelli non lo hanno fatto. Si può ribattere che la giuria non ha ritenuto rilevante questo aspetto, visto che ha condannato Brega per tutti i casi, ma Filippetto, Barbarossa e Benelli stanno facendo informazione – ricordiamo il prefisso docu – che non significa sposare la tesi di un potere, qualunque esso sia, ma valutare autonomamente il suo operato e criticarlo, se ci sono gli elementi per farlo. E qui elementi ce n’è in abbondanza. E non si tratta di opinioni, ma di fatti. Vi è poi la questione riguardante l’infermiera
Enza La Corte, condannata per favoreggiamento per aver contribuito
a nascondere delle prove a carico di Brega – condanna inspiegabile,
per chiunque abbia seguito un minimo il processo. Questo quanto è emerso nelle udienze del dibattimento,
verificabile leggendo le trascrizioni: La docu-fiction riporta poi stralci di una telefonata
del 12 ottobre 2007, nella quale Brega chiede a La Corte di dire a
Pansera di cancellare le cose sul computer del reparto di chirurgia
toracica, “tutto ciò che è compromettente, tutto
ciò che è inerente alle nostre difese”. Ne abbiamo sempre scritto, sia nel libro che nelle controcronache: è provato, a nostro parere, che ci sia stata truffa in merito ai passaggi di reparto tra acuti e riabilitazione (passaggi amministrativi di cartelle: è stato riconosciuto anche in aula che le cure fornite ai pazienti erano adeguate e corrette), e in merito alla codifica di alcune cartelle relative ai casi di senologia. Questo è quanto di “compromettente” era contenuto nel computer: nulla a che vedere con l’accusa di lesioni dolose e omicidio volontario. Un conto è una truffa, un conto è un omicidio. Di tutto questo non c’è il minimo accenno nella docu-fiction di Filippetto, Barbarossa e Benelli, solo l’sms e pochi istanti di telefonata che catapultano nell’immaginario collettivo La Corte come una complice e Brega impegnato a eliminare prove di reati di lesione dolosa e omicidio volontario. Sulle telefonate in generale c’è ben poco da aggiungere a quanto abbiamo già scritto più volte, nel libro – a cui rimandiamo per un’analisi nel dettaglio delle diverse intercettazioni – e nelle controcronache: tagliate, decontestualizzate, forzate nell’interpretazione proprio grazie ai sapienti tagli effettuati. E se l’operazione funziona sui giornali, crea quel sensazionalismo che produce vendite, figuriamoci la viva voce: il successo di pubblico è assicurato. Ma anche qui, fare informazione significa un’altra cosa. Ne può dare un esempio una delle tante telefonate della dottoressa Galasso mandate in onda nella docu-fiction (rimandiamo qui, alla testimonianza in aula della Galasso, per la valutazione complessiva della strumentalizzazione delle sue intercettazioni all’interno dell’impianto accusatorio): è quella del primo ottobre in cui la dottoressa cita il caso di un ragazzo affetto da Tbc che avrebbe “impestato tutta la classe”. Semplicemente non è mai accaduto. Al punto che non si è speso un solo minuto al processo su questa bufala. Sono le voci che iniziano a girare e non si sa mai dove siano nate, accade sempre quando esplode uno scandalo, e la Galasso riporta un sentito dire. Ma non è lei che deve rendere conto di questo, di quanto ha detto in una telefonata privata con un’amica, in un momento di rabbia; sono Filippetto, Barbarossa e Benelli che devono rendere conto del perché abbiano deciso di inserire, attraverso le parole della Galasso, un’informazione irrilevante perché falsa. La figura dell’infiltrato infatti, non puntualizza che il fatto non sia mai accaduto, e il tutto si inserisce in quel magma sensazionalistico che va a colpire l’immaginario dello spettatore. Due parole sul caso del “chiodo reimpiantato”, una storia che ha avuto grande eco e ha contribuito a creare l’immagine della ‘clinica degli orrori’. È curioso che quello che è esploso mediaticamente, divenendo un punto fermo nello scandalo, non sia poi mai entrato nell’aula giudiziaria. Al dottor Scarponi è stata mossa l’accusa di truffa per la falsificazione di cartelle cliniche: perché la procura non gli ha imputato il reato di lesioni dolose per questo caso, se aveva gli elementi per farlo? O addirittura di omicidio. Perché per come la docu-fiction rappresenta la vicenda, attraverso le parole della figura dell’infiltrato, non vi è alcun dubbio sul nesso tra il chiodo reimpiantato, sette successive operazioni subite dal paziente, e la sua morte sette mesi dopo. Forse perché questa vicenda è ghiotta da un punto di vista mediatico ma inesistente sotto il profilo giudiziario? E allora che cosa ci fa inserita in una fiction giudiziaria con il prefisso docu? Domanda retorica: fa audience. Vi sono poi diversi aspetti marginali, che tralasciamo
perché irrilevanti sul piano delle accuse rivolte a Brega;
ne sottolineiamo giusto uno, a titolo di esempio, per evidenziare
l’approccio della docu-fiction. È importante infine una riflessione sulla
realizzazione dell’intera docu-fiction. Gli incontri tra Brega e i pm Pradella e Siciliano poi, inseriti cronologicamente nella docu-fiction nel corso delle indagini, non sono mai avvenuti. Il chirurgo è stato sentito dai pubblici ministeri solo dopo il suo arresto. Ma, le esigenze della fiction, hanno evidentemente imposto una differente rappresentazione. Il punto è che una simile ricostruzione temporale propone un’immagine falsata della consapevolezza del chirurgo in merito al tipo di accuse che la procura muoveva – truffa o lesioni dolose – con conseguente interpretazione forzata delle intercettazioni telefoniche e delle azioni messe in atto da Brega stesso. Due erano infatti le vicende aperte: l’indagine Asl, che contestava l’approccio chirurgico in sette casi, contro cui Brega si stava muovendo fino alla denuncia al Tar, e l’avviso di garanzia della procura per truffa. È solo grazie a questa falsata ricostruzione temporale che viene fornita, per esempio, la suggestione che quando Brega chiede a La Corte di prendere le TAC di tutti i pazienti, lo spettatore crede che quel tutti si riferisca, semplicemente, a tutti, tutti quelli su cui sta indagando la procura, e non ai soli sette casi Asl. E a eliminare la suggestione non basta certo un sottopancia inserito nelle scene dell’interrogatorio, nel quale a caratteri minuscoli viene riportata la data. Occorre quindi porsi, in conclusione, due interrogativi,
uno specifico e uno di ordine generale, entrambi nel merito del preteso
suffisso docu. Sul piano generale, il format regge? Se per rendere ‘appetibile’ una docu-fiction su un caso giudiziario occorre inventarsi metodi investigativi non attuati e falsare cronologicamente gli accadimenti, è il caso di togliere il prefisso docu. Mai come in questo caso, il medium è il messaggio. E il messaggio è, da una parte, un monumento alla procura – e alla guardia di finanza che, guarda caso, ha dato il suo supporto alle riprese del programma, come da ringraziamenti nei titoli di coda – e dall’altra una ricostruzione suggestiva e non veritiera degli avvenimenti, con buona pace di ciò che significa fare informazione (e siamo all’abc del giornalismo: la cronologia è un tassello sempre fondamentale in una vicenda). Un Paese civile dovrebbe porsi questi interrogativi. E dovrebbe porseli anche una televisione pubblica che decide di produrre e mandare in onda un simile format, per di più, lo ribadiamo ulteriormente, su un caso giudiziario ancora aperto su cui pende una condanna all’ergastolo. La vicenda Brega Massone ha toccato apici di gogna mediatica fin dal momento dell’arresto del chirurgo. Da lì non si è più usciti, non è più stato possibile né ragionare pubblicamente con lucidità sul caso né fare un’informazione basata sui fatti. I cittadini conoscono nulla di questo processo, se non la narrazione parziale che ha fornito loro l’industria mediatica sempre a caccia del ‘mostro’ per aumentare le vendite. In questo gioco al massacro ora è entrata anche la Rai, con il peso di una docu-fiction mandata in onda in prima serata. Due parole, infine, sugli attori e gli autori del
programma.
*** |
La vicenda in breve L’8 maggio 2013, davanti alla prima Corte di Assise di Milano, è iniziato il secondo processo Santa Rita: imputati il chirurgo toracico Pier Paolo Brega Massone e i due aiuti dell’équipe di chirurgia toracica (con l’accusa di lesioni dolose per 46 casi, omicidio volontario aggravato per 4 casi, truffa e falso), cinque anestesisti (omicidio colposo), un’infermiera (favoreggiamento e appropriazione indebita) e un altro medico (truffa e falso). Si tratta di uno stralcio di un procedimento precedente... (continua a leggere...) |
SOMMARIO ARTICOLI
22 giugno 2017
21 dicembre 2015
15 aprile 2014
27 febbraio 2014
20 febbraio 2014
Dicembre/gennaio 2013
Udienza 6 novembre 2013
La testimonianza del dottor Vincenzo Celano
Udienza 3 giugno 2013
Udienza 22 maggio 2013
Udienza 20 maggio 2013
Udienza 15 maggio 2013
Udienza 13 maggio 2013
Udienza 8 maggio 2013
*** |
La sentenza di condanna
della Corte di assise, prima sezione, tribunale di Milano Mentre si registra una seconda perizia super partes, disposta da un tribunale civile, che dà ragione a Brega Massone
Condanna per omicidio volontario per quattro casi e per lesioni
dolose per una quarantina: ergastolo, con tre anni di isolamento
diurno, per il chirurgo Brega Massone; 30 anni di carcere per il
secondo aiuto, il chirurgo Fabio Presicci; 26 anni per il chirurgo
terzo aiuto. I ppmm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano avevano richiesto: per
Brega Massone, l'ergastolo con isolamento diurno per 2 anni e 6
mesi; per Fabio Presicci, l'ergastolo con isolamento diurno per
1 anno; per il chirurgo terzo aiuto, 18 anni di reclusione. Per l'ennesima volta in questa vicenda, i giudici, che non hanno
alcuna competenza tecnico-scientifica nell'ambito medico, non hanno
disposto una perizia super partes, nonostante i consulenti di accusa
e difesa abbiano espresso valutazioni opposte. Segnaliamo anche l'esistenza di una
seconda perizia super partes (dopo la perizia
DP che rientrava tra i casi del primo processo, chirurgia toracica)
che dà ragione a Brega Massone: si tratta del capo 43, l'ambito
è quello senologico. Anche in questo caso, la paziente si
è rivolta a un tribunale civile per ottenere un risarcimento:
il tribunale ha disposto una perizia super partes, e la valutazione
è stata a favore di Brega. Estensori della perizia il dottor
Alberto Marassi, responsabile dell'Unità di senologia del
San Raffaele di Milano, e il professor Marco Aurelio Grandi, ordinario
di Medicina legale dell'Università degli Studi di Milano.
Pubblichiamo: – processo penale, la consulenza
della procura di Squicciarini
*** |
L'accusa di omicidio
volontario – capi di imputazione 46 - 47 - 48 - 49
Come è noto, in questo secondo processo per quattro capi di imputazione è in piedi un'accusa di omicidio volontario. Volontario, lo sottolineiamo, non colposo né preterintenzionale. Significa che secondo la procura i tre chirurghi dell'equipe di chirurgia toracica hanno portato al tavolo operatorio quattro persone con la chiara consapevolezza e volontà di ucciderle. Il tutto aggravato, secondo il capo di imputazione, dall'aver commesso il reato per eseguirne un altro, ossia la truffa al sistema sanitario (art. 576 n. 1 c.p., in relazione all'art. 61 n.2 c.p.), e dall'aver agito con crudeltà (art. 577 n. 4 c.p., in relazione all'art. 61 n. 4 c.p.); due aggravanti che prevedono la pena dell'ergastolo. Per i quattro casi pubblichiamo la documentazione depositata in dibattimento e le deposizioni in aula. Consulenti della difesa Brega Massone sono: – il professore Massimo Martelli: primario dal 1990 al 1 settembre 2013 della Divisione di Chirurgia Toracica dell’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, è stato anche capo dipartimento delle Malattie Polmonari, Professore Associato di Chirurgia Toracica all'Università La Sapienza di Roma e nel 2010, per sei mesi, commissario straordinario del Forlanini – il professore Remo Orsetti: attuale direttore, dal 1999, del Servizio di Anestesia Rianimazione e Terapia del Dolore dell’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, professore presso la Scuola di Malattie Polmonari dell’Università Statale di Roma e di Anestesia e Rianimazione presso l'università Campus Biomedico di Roma – il professore Francesco Maria Avato: direttore da trent'anni dell’Istituto di Medicina Legale di Ferrara, direttore del Dipartimento Interaziendale di Medicine Legale e delle Assicurazioni delle due aziende sanitarie della provincia di Ferrara, professore del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, corso di laurea in Sanitaria, corso di laurea in Giurisprudenza, Medicina Legale, Scienze Umane, deontologia, bioetica e tutto quanto attiene alla declaratoria del settore scientifico e disciplinare di Medicina Legale dell'università di Ferrara
accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Ronchi - deposizione Ronchi/Sartori (esame procura) / (controesame difesa) difesa: consulenza Martelli/Orsetti - deposizione Martelli/Orsetti/Avato - deposizione Presicci - deposizione Brega Massone Capo 47 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Ronchi - deposizione Ronchi/Sartori (esame procura) / (controesame difesa) - deposizione Sartori (controesame difesa) difesa: consulenza Martelli/Orsetti - deposizione Martelli/Orsetti/Avato (esame difesa) / (controesame procura) - deposizione Presicci - deposizione Brega Massone Capo 48 accusa: consulenza Greco (1) - consulenza Ronchi - deposizione Greco - deposizione Ronchi/Sartori (esame procura) / (controesame difesa) - deposizione Sartori/Squicciarini (esame procura) difesa: consulenza Martelli/Orsetti - deposizione Martelli/Orsetti/Avato (esame difesa) / (controesame procura) Capo 49 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Ronchi - deposizione Ronchi/Sartori (esame procura) / (controesame difesa) - deposizione Sartori/Squicciarini (controesame difesa) difesa: consulenza Martelli/Orsetti - deposizione Martelli/Orsetti/Avato (esame difesa) / (controesame procura) - deposizione Brega Massone
1) Marco Greco: primario del reparto di Chirurgia Oncologica indirizzo Senologico dell’ospedale San Gerardo di Monza, è stato primario dal 1996 presso l’Istituto dei Tumori di un reparto di Chirurgia Oncologica e dal 2000 di un reparto specifico per la Senologia; è stato professore a contratto presso l’Università di Milano e di Monza, presidente per otto anni della Società Italiana di Senologia e per quattordici anni segretario generale della Società Europea di Senologia
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La verità sulla (s)carcerazione di Brega Massone nei documenti della procura In custodia cautelare da 5 anni, doveva essere liberato a settembre
Sulla sentenza della Cassazione – come prima su quelle di
appello e di primo grado – abbiamo espresso, carte alla mano,
una forte critica nel merito, scrivendone
anche qui, ma ora non è questo il punto. Il chirurgo è stato in carcere dal 9 giugno 2008, giorno
dell'arresto, fino al 14 gennaio scorso – salvo una pausa
di 6 mesi, dal 5 novembre 2009 al 30 aprile 2010: in totale, qualcosa
in più di 5 anni. La custodia cautelare – poiché
questo stava scontando – scadeva nel settembre 2013.
A quella data quindi doveva essere scarcerato, dato che la sentenza
di Cassazione di giugno, come abbiamo detto, non era esecutiva.
Cosa che non avviene, perché il 24 luglio 2013, prima della
pausa estiva, il sostituto procuratore generale del tribunale di
Milano, dottor Antonio Lamanna, emette un “Ordine di esecuzione
per la carcerazione”. Il 23 luglio la procura invia per fax alla Cassazione una richiesta
di chiarimenti: chiede alla Corte “di dichiarare quali parti
della sentenza siano divenute irrevocabili, soprattutto in punto
di aumento pena in continuazione per i reati di lesioni non prescritti”
e ne rappresenta “l'urgenza, essendo prossima alla scadenza
(24.9.2013) la custodia cautelare dell'unico detenuto Brega Massone
Pier Paolo”. Non ci è dato sapere cosa sia intervenuto tra la domanda di chiarimenti e la sua revoca. Possiamo solo dire, peccato. Se la procura generale di Milano non avesse rinunciato al chiarimento, avrebbe avuto in mano un documento, scritto nero su bianco dalla Cassazione, che gli avrebbe impedito di emettere, il giorno successivo, un ordine di esecuzione illegittimo – nel quale, tra l'altro, si dava atto dei reati prescritti ma veniva messa in esecuzione l'intera pena, 15 anni e 6 mesi. E a settembre Brega sarebbe stato scarcerato. Mese più, mese meno, si dirà. In fondo gli avvocati hanno fatto ricorso e da metà gennaio il chirurgo è un uomo libero, in attesa della sentenza definitiva – a margine, occorre anche sottolineare che sconcerta il fatto che al tribunale di Milano ci sia più di un magistrato che pare non aver ben chiaro il concetto giuridico di 'sentenza irrevocabile': il 20 agosto gli avvocati di Brega avevano infatti presentato l'incidente di esecuzione, ma il 4 settembre la Corte d'appello di Milano, sezione feriale penale, lo aveva rigettato; c'è voluta la Cassazione per ristabilire il significato di 'sentenza irrevocabile'. “Il magistrato, lo si è detto più volte, non deve cercare il consenso della pubblica opinione” ha affermato Luigi Ferrajoli al Congresso annuale di Magistratura Democratica del gennaio 2013; “le sole persone di cui i magistrati devono riuscire ad avere non già il consenso, ma la fiducia, sono le parti in causa e principalmente gli imputati: fiducia nella loro imparzialità, nella loro onestà intellettuale, nel loro rigore morale, nella loro competenza tecnica e nella loro capacità di giudizio. Ciò che infatti delegittima la giurisdizione è non tanto il dissenso e la critica, che non solo sono legittimi ma operano come fattori di responsabilizzazione, bensì la sfiducia nei giudici e ancor peggio la paura generate dalle violazioni delle garanzie stabilite dalla legge proprio da parte di chi la legge è chiamato ad applicare e che dalla soggezione alla legge ricava la sua legittimità. Per questo la fiducia delle parti in causa nei loro giudici è il principale parametro e banco di prova del tasso di legittimità della giurisdizione. Non dimentichiamo mai che tutti coloro che subiscono un giudizio saranno anche i giudici severissimi dei loro giudici, di cui ricorderanno e giudicheranno l'imparzialità o la partigianeria, l'equilibrio o l'arroganza, la sensibilità o l'ottusità burocratica. Di cui soprattutto ricorderanno se hanno violato o garantito i loro diritti”.
*** |
Il nocciolo del processo: l'indicazione
chirurgica
Il fulcro del processo è l'indicazione chirurgica: la procura
afferma che non c'era, la difesa sostiene il contrario. Entrambe
si avvalgono di consulenti di parte. Entreremo quindi nel dettaglio dei capi di imputazione mettendo a disposizione i documenti originali, mano a mano che saranno depositati in dibattimento, senza commento alcuno, di modo che ognuno possa autonomamente valutare.
Traumi del torace – capi di imputazione da 1 a 9 I primi 9 capi di imputazione sono stati analizzati, da parte della
procura, dal dottor Squicciarini e dal prof. Sartori; da parte della
difesa, al momento si è espresso solo il dottor Presicci
(imputato, secondo aiuto dell'équipe di chirurgia toracica
della clinica Santa Rita), sentito in aula; i consulenti della difesa
devono infatti ancora deporre e le loro consulenze saranno depositate
contestualmente alle testimonianze. Non appena disponibili le metteremo
online. Non pubblichiamo la testimonianza di Squicciarini perché,
a parte alcuni dettagli sui farmaci utilizzati, non aggiunge alcunché
al documento scritto: il dottore ha infatti ripercorso a voce il
caso clinico così come presentato nella sua relazione.
Capo 1 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 2 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 3 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 4 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 5 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 6 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 7 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 8 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci Capo 9 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - deposizione Sartori difesa: deposizione Presicci
La consulenza del prof. Olivieri– capi di imputazione 15-16-17-21-24 Al prof. Dario Olivieri (1) la procura ha consegnato, per una valutazione,
79 cartelle cliniche relative a 51 pazienti ricoverati nell'anno
2007; come specificato nella consulenza depositata, il professore
decide di analizzare solo 5 casi, "avendo competenze di tipo
clinico nel campo delle malattie dell'apparato respiratorio, e non
chirurgiche", ritenendo pertanto che nei rimanenti casi la
"competenza del chirurgo toracico, prof. Sartori, potrà
chiarire meglio le incongruità di alcuni percorsi terapeutici,
peraltro evidenti nella maggior parte dei casi esaminati" (2).
Per il capo di imputazione 24 esiste anche la consulenza del collegio Ronchi, che pubblichiamo unitamente alla relativa deposizione in aula. Il collegio - formato dal prof. Enzo Ronchi (medico legale) e dalle dottoresse Maria Cristina Marenghi (anestesista), Ombretta Campari (medico legale) e Antonia Locatelli (medico legale) - è stato chiamato dalla procura ad analizzare il nesso di causalità tra l'intervento operatorio e il successivo sopraggiunto decesso del paziente, e ha concluso negando che vi sia stata relazione tra i due eventi. Evidenziamo che durante la sua testimonianza il dottor Brega ha proiettato in aula alcune immagini (RX, TAC ecc.) relative ai casi oggetto della deposizione, e ricordiamo che le consulenze dell'accusa, al contrario di quelle della difesa, sono state redatte senza aver preso visione di alcuna immagine.
Capo 15 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Olivieri - deposizione Sartori/Olivieri difesa: deposizione Presicci Capo 16 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Olivieri - deposizione Sartori/Olivieri difesa: deposizione Presicci - deposizione Brega Massone Capo 17 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Olivieri - deposizione Sartori/Olivieri difesa: deposizione Presicci - deposizione Brega Massone Capo 21 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Olivieri - deposizione Sartori/Olivieri difesa: deposizione Presicci - deposizione Brega Massone Capo 24 accusa: consulenza Squicciarini - consulenza Sartori - consulenza Olivieri - consulenza Ronchi - deposizione Sartori/Olivieri - deposizione Ronchi difesa: deposizione Presicci
1) Dario Olivieri, docente in Malattie Respiratorie
all’Università di Parma; specialista in Malattie dell’Apparato
Respiratorio in Medicina Interna, in Immunologia e Allergologia
clinica; ex Direttore della Clinica Universitaria di Parma; Presidente
della Società Europea di Pneumologia; regent internazionale
e master dell’American College of Chest Physicians; parte
del board di direzione dell’American Thoracic Society
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Il consulente della procura, dottoressa Maria Cristina Marenghi, pronuncia frasi offensive in riferimento al dottor Fabio Presicci
Ora: le considerazioni da fare sono diverse, tutte di pari importanza. La prima. Il dottor Presicci sta dando filo da torcere ai pubblici
ministeri: è preparato sui casi, concentrato. La Pradella
incalza, insiste nelle domande, Presicci ribatte colpo su colpo,
sicuro nelle risposte, sempre estremamente tecnico. Seconda considerazione. Io sedevo dietro gli avvocati, e ho sentito
perfettamente le parole offensive pronunciate dalla dottoressa Marenghi:
la sua voce ha raggiunto anche le mie orecchie. Risulta difficile
credere che chi le era seduto accanto – i pm Pradella e Siciliano
– non le abbia sentite. Ma le cose devono essere andate di
certo così, i due pubblici ministeri erano concentrate sull'esame
al dottor Presicci e non le hanno percepite, perché altrimenti
avrebbero sicuramente richiamato la loro consulente al rispetto
della persona, primo, e al rispetto del luogo, un'aula di tribunale,
secondo. E sicuramente si sarebbero indignate, da punto di vista
etico e morale, visto come si sono indignate per il linguaggio
usato dal dottor Brega nel corso di telefonate private con colleghi
e amici, intercettate dalla procura – nel corso di telefonate
private, lo sottolineiamo, con colleghi e amici, non nel corso di
un'udienza pubblica in un'aula di tribunale, con avvocati. Terza considerazione. La dottoressa Marenghi non pronuncia le offese
nascondendosi, coprendosi la bocca con la mano; nemmeno le sussurra,
visto che io sono in grado di sentirle a un paio di metri di distanza;
anzi, le accompagna con plateali gesti, sottolineandole con il linguaggio
del corpo. Non ha alcun timore che qualcuno la possa rimproverare,
o gliene chieda conto. Chiudiamo con le parole di Luigi Ferrajoli, ex magistrato e oggi professore di Filosofia del Diritto, pronunciate nel gennaio scorso al Congresso annuale di Magistratura Democratica, corrente che Ferrajoli ha contribuito a fondare. Tema del suo intervento: la 'deontologia giudiziaria'. “Dalla disponibilità all'ascolto di tutte le opposte ragioni [dipende] l'imparzialità e la terzietà del giudizio, e anche delle indagini istruttorie. Il giudizio, come scrissero Cesare Beccaria e ancor prima Ludovico Muratori, deve consistere nell''indifferente ricerca del vero'. È su questa indifferenza, che è propria di ogni attività cognitiva e comporta la costante disponibilità a rinunciare alle proprie ipotesi di fronte alle loro smentite, che si fonda il processo che Beccaria chiamò 'informativo', in opposizione a quello che chiamò invece 'processo offensivo', nel quale, egli scrisse, «il giudice diviene nemico del reo» e «non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia, e crede di perdere se non vi riesce, e di far torto a quell'infallibilità che l'uomo s'arroga in tutte le cose». È chiaro che questa quarta regola deontica esclude in primo luogo l'idea dell'imputato come nemico e, più in generale, ogni spirito partigiano o settario. Ma essa esclude anche l'idea, frequente nei pubblici ministeri, che il processo sia un'arena nella quale si vince o si perde”. Ognuno tragga le proprie valutazioni. Sullo spirito obiettivo, o “partigiano o settario”.
Aggiornamento al 18 novembre: continuerà l'esame del dottor Presicci.
1) Maria Cristina Marenghi, dirigente medico I
livello, Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Ospedale Maggiore
Policlinico Mangiagalli Regina Elena di Milano
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Udienze 2/9/14 ottobre 2013
Il controesame da parte delle difese dei consulenti tecnici della procura (dottor Paolo Squicciarini, prof. Francesco Sartori, prof. Dario Olivieri e il collegio Ronchi – prof. Enzo Ronchi e le dottoressa Maria Cristina Marenghi, Ombretta Campari e Antonia Locatelli) ha impegnato tre udienze. Con questa fase la procura ha terminato i suoi teste, ora la parola passa alla difesa. Aggiornamento al 30 ottobre.
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Udienze 23/25 settembre 2013
Dopo la pausa estiva, è il turno delle parti civili chiamate a deporre dalla procura; alcune sono state sentite anche nelle udienze del 26 giugno – nella quale ha testimoniato anche il prof. Luciano Gattinoni (1), di cui scriveremo a breve – e del 17 luglio. Per dovere di riservatezza, ne tratteremo omettendo le generalità e in concomitanza con l'analisi dei casi effettuata dai consulenti di difesa e accusa, quindi si suppone tra diverse udienze. Aggiornamento al 2 ottobre.
1) Direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione
dell’Ospedale Maggiore, Fondazione Ca’ Granda
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La testimonianza del dottor Vincenzo Celano Dati a confronto: le lettere del 2005, l'interrogatorio del 2009, la testimonianza del 2013
Avevamo scritto in precedenza che della testimonianza del dottor Celano ci saremmo occupati una volta analizzata la relativa documentazione, per dovere di precisione. Ascoltando le sue parole in aula il 20 maggio scorso, infatti, ci è parso essenziale metterle a confronto con quanto da lui stesso dichiarato ai ppmm durante l’interrogatorio del 7 aprile 2009. Cosa che ci apprestiamo a fare ora. Il dottor Celano – in Santa Rita dal 1986 al 2005, prima
come dirigente del Dipartimento di Medicina, Cardiologia e Pronto
soccorso e poi, all’epoca dei fatti, come responsabile del
solo reparto di Medicina – è entrato in questo processo,
in qualità di testimone dell’accusa, per due lettere,
prive di data ma pare risalenti all’inizio del 2005, trovate
dalla procura nei computer della clinica. In sintesi, Celano aveva
espresso alla direzione sanitaria della Santa Rita le proprie perplessità
circa la nomina del dottor Brega a responsabile del reparto di chirurgia
toracica, avvenuta nel gennaio 2005; perplessità a cui la
direzione sanitaria aveva risposto a voce e per iscritto, con le
due lettere poi sequestrate dalla procura: una era indirizzata a
Celano stesso, l’altra al notaio Pipitone, proprietario della
clinica.
1 - Titoli Ragioni espresse anche nel corso dell’interrogatorio dell’aprile 2009: “Allora io non fui assolutamente d’accordo con questa scelta, ma per un motivo diciamo ... niente di personale, un motivo molto banale, voglio dire. Esistono dei curricula anche nel campo sanitario e io, forse all’antica, però si va attraverso una serie di step: si passa ad assistente, poi si faceva l’aiuto, poi si diventava primario … Insomma, ora passare da borsista a primario in una branca chirurgica ... insomma, non mi lasciava tranquillo […]. Quindi io credo che un borsista dell’Istituto dei Tumori non abbia mai operato da solo. […] Secondo me non può fare il chirurgo uno che faceva il borsista all’Istituto dei Tumori. Voglio dire, avrà ... avrà fatto il terzo in sala operatoria. Ma neanche mai il secondo”. Su questo aspetto, la lettera della direzione sanitaria aveva risposto, nel 2005: “I titoli di Brega Massone sono formalmente ampiamente adeguati alla funzione che ricopre e la sua casistica operatoria testimonia la sua esperienza. Ad una valutazione dei titoli scientifici si riscontra che Brega Massone ha una produzione numerosa e di buon livello pubblicata anche su riviste internazionali prestigiose e che è a tutt’oggi produttivo, venendo invitato come relatore in congressi internazionali. [...] So bene che non si pesa un clinico sulle pubblicazioni ma qualche significato lo ha anche questo”. L’aspetto forse più sorprendente è che sia
all’epoca dell’interrogatorio che oggi in aula, Celano
si sia espresso sul curriculum di Brega Massone senza conoscerlo,
per sua stessa ammissione; ha infatti dichiarato in udienza: “Però
posso anche sbagliare, non sono andato a verificare, credo che fosse
questa la realtà”. Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1990, Brega ha conseguito
la specialità in Chirurgia Generale nel 1995 e la specialità
in Chirurgia Toracica nel 2000. Ha lavorato dal 1995 al 2002 presso
la chirurgia toracica dell’Istituto dei Tumori di Milano,
diretta dai professori Gianni Ravasi e Ignazio Cataldo: dal 1995
al 2000 come medico specializzando in chirurgia toracica, primo
classificato nella graduatoria del concorso per entrare nella Scuola
di specialità di chirurgia toracica; dal 2000 al 2002 con
contratti di consulenza di chirurgia toracica, ricoprendo dal febbraio
al luglio 2000 anche una supplenza da Dirigente medico di I livello
in chirurgia toracica. Dal 2002 al 2004, prima di divenire primario
del reparto di chirurgia toracica della Santa Rita, è stato
Responsabile, alla stessa Santa Rita, dell’Unità funzionale
di chirurgia toracica nell’ambito del Dipartimento di chirurgia
generale. Dati alla mano, ognuno può trarre autonomamente le proprie
valutazioni.
2 – Interventi mesotelioma pleurico Su questo aspetto la direzione sanitaria aveva risposto: “Gli interventi sui pazienti con mesotelioma sono monitorati da un Registro Nazionale. Un paio di volte all’anno viene in clinica un medico della Asl incaricato dell’aggiornamento del Registro e controlla le cartelle una per una, facendone copia ed acquisendone i dati. Anche questa attività, non solo non ha mai suscitato problemi ma ha suscitato commenti di apprezzamento per Brega Massone anche in relazione alla scarsa disponibilità di questa chirurgia”. Si possono quindi archiviare come prive di fondamento le perplessità
di Celano su questi interventi – dubbi oltretutto manifestati,
come per la questione titoli e di nuovo per stessa ammissione di
Celano, senza possedere le conoscenze per potersi esprimere in merito.
3 - Il dottor V. La lettera della direzione sanitaria così aveva risposto a Celano su questo aspetto: “Le tue affermazioni circa l’attività di Brega Massone, la sua competenza professionale, la sua correttezza ed i tuoi dubbi, espressi anche di fronte a terzi, sul possesso da parte sua dei titoli per ricoprire la responsabilità della chirurgia toracica hanno determinato una situazione che, per il bene di tutti, della clinica e dei diretti interessati, te incluso, deve risolversi al più presto. Come da tua richiesta la scorsa settimana ho dedicato non poche ore ad una ampia rivalutazione della situazione. Non mi sono basato solo sulle statistiche di sistema che misurano l’attività (casistica, peso medio, modalità di dimissione – quindi decessi – complicanze, trasfusioni, ecc.) ma ho rivisto alcune cartelle, parlato con Brega Massone a cui ho richiesto chiarimenti che mi sono stati forniti, discusso con S. [del reparto di Anestesia e Rianimazione, n.d.a.] per quanto riguarda sia elementi oggettivi relativi alla casistica che, più in generale, il feeling degli anestesisti nei confronti di Brega Massone. In questa attività ho tenuto come riferimento, dove la cosa aveva significato, anche l’attività di V. […] Non vi sono differenze statisticamente significative, tra Brega Massone e V., per quanto riguarda mortalità e complicanze. Questa osservazione è rafforzata dal fatto che Brega Massone tratta una casistica con un peso medio leggermente superiore a quella trattata da V. In assoluto i parametri di Brega Massone appaiono essere ampiamente accettabili tenendo conto della complessità della casistica trattata e delle caratteristiche della chirurgia palliativa; […] alcuni punti secondari ma comunque non trascurabili: l’uso del sangue e, in particolare, della trasfusione in urgenza, aggiustata per i volumi di attività, presenta parametri migliori per Brega Massone che per V.; la documentazione clinica di Brega Massone è ben tenuta e permette di seguire adeguatamente lo sviluppo della storia del ricovero; la Sdo è codificata in modo congruo; i pazienti risultano essere seguiti in modo adeguato. […] Debbo quindi ribadire che per quanto mi riguarda non vedo motivo di alterare lo stato delle cose. Brega Massone è il responsabile della chirurgia toracica ed a lui vanno rivolte le richieste di consulenza interna. È fisiologico che vi possano essere oneste, trasparenti e anche vivaci discrepanze nell’inquadramento e nelle scelte cliniche che riguardano un caso ma non dovrebbero essere posti in dubbio i pilastri fondamentali di fiducia e rispetto che ci tengono insieme. Una parte non indifferente di questo guazzabuglio viene purtroppo attribuita ad una tua parzialità nei confronti di V., e ciò crea danno anche a te oltre che a Brega Massone. Ricordo perfettamente che a V., quando chiese di ritornare dopo la parentesi a Monza, dissi chiaramente che era stato introdotto Brega Massone, identificato come referente, e che il suo rientro non avrebbe cambiato questo stato di cose”. Celano voleva dunque continuare a rivolgersi a V., ed esprimeva le proprie perplessità su Brega anche di fronte a colleghi, come ammesso nel corso dell’interrogatorio del 2009: a domanda del pm di indicare a chi avesse manifestato i propri dubbi, Celano risponde: “Ma un po’ così, un po’ con tutti. Un po’ con tutti i colleghi”. Pare dunque si fosse innescata una lotta interna, a bassa o alta intensità che fosse. Una tensione che non è emersa durante la testimonianza in aula, e che a noi sembra al contrario un aspetto fondamentale, sia per capire i toni, che la procura definisce ‘duri’, e difatti lo sono, della lettera della direzione sanitaria, sia come ulteriore elemento per comprendere il rapporto Celano-Brega nella sua interezza.
4 – Scelte diagnostiche/terapeutiche A domanda sulle ragioni di tali dubbi, Celano risponde in aula: “In generale devo dire l’atteggiamento dei pazienti con patologie polmonari. Nel senso che a mio avviso cioè un atteggiamento molto semplicistico, nel senso che non si andava ad operare degli screening approfonditi per determinare se [la] patologia fosse tumorale oppure no e ovviamente questo sicuramente deve essere la base per la diagnosi poi definitiva e la base del lavoro di un chirurgo toracico prima della sala operatoria. Il problema era un po’ questo, che si aveva un po’ l’impressione che l’atteggiamento del dottor Brega Massone fosse monotematico, cioè qualsiasi addensamento, qualsiasi problema polmonare doveva per forza essere un tumore. Come se io, che sono un cardiologo, qualsiasi toracoalgia debba essere o un’angina o un infarto e quindi essere sottoposto ad angioplastica o a coronarografia. Quindi questo è sicuramente l’impressione che io ne ho avuta e anche diciamo il fulcro, diciamo è il nocciolo di qualche screzio, sempre però negli ambiti della decenza, fra me e il dottor Massone, proprio nel momento in cui io rivendicavo una maggiore accuratezza diagnostica, quindi un’attesa, l’espletamento degli screening che sono poi all’ordine del giorno, vale a dire bronco aspirati, bronco lavaggi, broncoscopie prima di giungere o al tavolo operatorio o alla toracoscopia, che invece veniva utilizzato a mio avviso, ma anche ad avviso di molti altri chirurghi toracici in maniera per così dire... semplicistica insomma”. Alla domanda del pm se avesse mai chiesto direttamente a Brega spiegazioni circa le modalità di affrontare gli interventi chirurgici, Celano risponde: “Sì, qualche volta può essere capitato di... No, ma la risposta era che il paziente aveva necessità di sottoporsi alla toracoscopia e che quindi andava trasferito in chirurgia toracica per essere poi eventualmente ricoverato. Molti pazienti poi però non erano trasferiti e rimanevano nel reparto di Medicina insomma. Però era una... diciamo una spinta continua affinché si trasferissero dei pazienti dalla Medicina alla chirurgia toracica”. E ancora, Celano dichiara: “[…] Il mio problema non era di sala operatoria, il mio problema è che se arriva un paziente dal pronto soccorso, viene ricoverato nel mio reparto e ha un problema polmonare, un addensamento polmonare, una lastra, prima di dire «quello è un tumore», si fanno una serie di accertamenti. Chiunque voglia diciamo evitare questa serie di accertamenti secondo me fa un processo clinico diagnostico sbagliato. Se poi sono tutti da operare, secondo me è un po’ furore operatorio che posso capire in uno giovane che magari vede anche l’opportunità di imparare, di fare pratica. Questo è frequente in molti giovani chirurghi, questo però deve lasciare un po’ dubbiosi e deve perlomeno essere preso con cautela. È per questo motivo che io credo che nella chirurgia, negli ospedali nelle cliniche private italiane sapendo come difficilmente il chirurgo può accedere alla sala operatoria, devono passare determinati anni, c’è una guerra feroce perché... chiaramente il chirurgo più anziano ha più esperienza, sa riconoscere quando deve operare, quando è giusto farlo e non lo fa perché deve imparare insomma”. Celano dipinge dunque un quadro generale, parla di “impressioni”
senza citare o entrare nel merito di singoli e specifici casi; per
quanto il quadro possa apparire suggestivo, la sua astrattezza lascia
disorientati, perché se l’atteggiamento di Brega era
così generalizzato, di casi specifici da riportare dovrebbero
essercene in abbondanza. E invece Celano non ne indica nemmeno uno.
Su questo punto c’è poi un altro aspetto a nostro avviso da non trascurare. Nel corso dell’interrogatorio del 2009 sono gli stessi ppmm a cercare di rendere più concrete le astratte considerazioni di Celano, senza riuscirci. L’interrogatorio è incalzante, il pm Pradella e il maresciallo Reitano fanno pressione, ripetono le domande, si indispettiscono (“Qui sembra tutta una roba in punta di piedi...”); poi tranquillizzano Celano, dicendo che le sue perplessità erano a tal punto fondate che Brega Massone è in galera, e dunque può esprimersi liberamente; ma Celano non va oltre le medesime considerazioni generali espresse in aula. Anzi, in realtà, durante l’interrogatorio, Celano sembrava meno sicuro di sé. Viene spontaneo domandarsi da che cosa sia nata la maggiore sicurezza rivelata in aula, e ci chiediamo anche chi siano quei “molti altri chirurghi toracici” che, a dire di Celano, pensano che Brega Massone avesse un atteggiamento semplicistico: nel caso si riferisca ai consulenti della procura, notiamo che non solo è una considerazione maturata successivamente all’epoca dei fatti, ma che per un solo chirurgo toracico consulente dell’accusa in questo e nel precedente processo – Francesco Sartori – ce ne sono ben quattro – Franco Giampaglia, Ludwig Lampl, Maurizio Mezzetti, Massimo Martelli (1) – che sostengono l’esatto contrario, ossia l’appropriatezza delle scelte chirurgiche di Brega Massone. Riportiamo dunque alcuni passaggi dell’interrogatorio, perché ognuno possa rendersi direttamente conto.
L’interrogatorio del 2009 *** P. G. (M. LLO REITANO) - Però secondo me il dottore si ricorda
male qualcosa. *** P.M. - Comunque lei è andato da Sampietro e si è
lamentato di Brega. Si ricorda? (Per inciso, la dottoressa Galasso è già stata sentita dalla procura, il 26 giugno 2008, e ha dichiarato che la frase “il principe di queste cose è Brega Massone” era il frutto di una semplice voce di corridoio che si riferiva al passaggio amministrativo di cartelle cliniche acuto/riabilitazione, e non certo all’indicazione chirurgica degli interventi; anzi, nel corso dell’interrogatorio la Galasso ha espresso valutazioni positive sulla professionalità medica di Brega Massone. Questa citazione del pm in tale contesto appare quindi perlomeno strumentale e fuorviante.) *** P.M. - lo credo che nella gamma dei comportamenti medici sia una
cosa che lascia sconvolti. Insomma, credo che lasci sconvolti anche
gli stessi medici, come noi abbiamo assistito a una vera e propria
reazione morale ancora prima che giuridica, da parte dei medici
tra virgolette che hanno dovuto giudicare questi comportamenti.
E lei qua è molto preciso nelle sue critiche, perché
le sue critiche, di cui guarda caso nessuno ci aveva parlato –
questa è scoperta dei giorni scorsi, quando l’abbiamo
chiamata – puntualizzano proprio quello che poi è stato
scoperto, e cioè: scelte terapeutiche chirurgiche e non mediche;
comportamenti di aggressività estrema; deviazione immediata
del paziente verso reparti di Chirurgia Generale anziché
Medicina piuttosto che ... *** P.M. - Mi scusi, io se fossi stata al suo posto, trent’anni
che faccio il cardiologo internista, e la direzione sanitaria della
clinica per la quale io lavoro dall’86 prende le difese di
Brega? Mi sarei stupita. *** P.G. (M.LLO REITANO) - Sa cos’è, dottore? È
strano che tutto questo fosse derivato solamente dal fatto che Brega
fosse giovane. Cioè io non credo che Lei abbia questa ...
diciamo questa antipatia professionale verso tutti quelli giovani. *** P.M. […] Cioè premesso che noi condividiamo nei fatti
quello che dice lei, perché abbiamo messo in galera Brega
Massone per queste cose ... *** CELANO - Si sa che ormai i chirurghi sono sempre più aggressivi. Ma magari è anche giusto così. Magari è anche giusto così, però io questo non sono in grado di poterlo dire. Non sono in grado di poterlo provare, perché c’è il chirurgo che mi dice «Ma no, guardate che metastasi adesso si operano», e magari su alcune cose han ragione. Quindi non sono la persona più indicata per poter dire queste cose, dal punto di vista poi della correttezza scientifica insomma, su quello che è la chirurgia oggi e via dicendo. Vado un po’ a naso. *** A un certo punto dell’interrogatorio il pm Pradella inizia a mostrare le cartelle cliniche di alcuni casi, tra quelli che i consulenti della procura hanno considerato privi di indicazione chirurgica, e dunque oggetto dell’accusa di lesioni dolose. E la situazione si fa paradossale. P.M. - Vediamo se c’è qualche suo ... *** Viene mostrata un’altra cartella. P.M. - E A. è TBC, quindi non li ha visti, immagino? *** In conclusione, la testimonianza rilasciata in aula da Celano ci
pare uno stralcio, se così possiamo definirlo, sia dell’interrogatorio
dell’aprile 2009, sia del rapporto Celano-Brega, decisamente
carico di tensione, che si evidenzia nella lettera della direzione
sanitaria; e in quanto stralcio, se non fuorviante, di certo parziale.
1) Franco Giampaglia, direttore dal 1993 al 2006
della Struttura complessa di chirurgia toracica dell'ospedale Cardarelli
di Napoli, presidente della Società italiana di chirurgia
toracica per il biennio 2006-2008; Ludwig Lampl, direttore del Dipartimento
di chirurgia toracica alla Klinikum Augsburg, responsabile tedesco
della European society for thoracic surgery; Maurizio Mezzetti,
direttore della Divisione di chirurgia toracica all'Istituto europeo
di oncologia (IEO) di Milano dal 1994 al 1997, direttore della Divisione
di chirurgia toracica all’ospedale San Paolo di Milano dal
1997 al 2007, direttore della Scuola di specialità in chirurgia
toracica dell'Università degli studi di Milano dal 1999 al
2005, attuale Presidente FONICAP (Forza Imperativa Nazionale Interdisciplinare
Contro il Cancro del Polmone); Massimo Martelli, direttore della
Divisione di chirurgia toracica all’ospedale San Camillo-Forlanini
di Roma dal 1989 a oggi
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Udienze 5/10/12/17/19 giugno 2013
Continua l'esame, da parte della procura, dei suoi consulenti di
parte. A Paolo Squicciarini e al professor Francesco Sartori si
sono aggiunti: il professor Dario Olivieri (1), il dottor Marco
Greco (2), il professor Enzo Ronchi (3), la dottoressa Maria Cristina
Marenghi (4), la dottoressa Ombretta Campari (5) e la dottoressa
Antonia Locatelli (6). Aggiornamento al 26 giugno.
1) Dario Olivieri, docente in Malattie Respiratorie
all’Università di Parma
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La parola ai consulenti di parte della procura, mentre la competenza di Paolo Squicciarini resta un nodo irrisolto
Il dottor Paolo Squicciarini (1) e il professor Francesco Sartori (2), consulenti di parte dell'accusa, hanno oggi iniziato la loro deposizione in aula, analizzando singolarmente i capi di imputazione oggetto dell’accusa di lesioni dolose a carico dell’équipe di chirurgia toracica. La testimonianza prenderà più udienze, tra esame e controesame, e dunque ne scriveremo una volta conclusa, per poter avere il quadro completo. Una cosa però la possiamo registrare: oggi la difesa di
Brega Massone ha posto una pregiudiziale nei confronti della consulenza
del dottor Squicciarini, richiamando l’art. 359 del codice
di procedura penale che prevede che i consulenti tecnici del pubblico
ministero debbano possedere “specifiche competenze”;
caratteristica da considerarsi tassativa, che dunque produce, se
non viene rispettata, una prova da ritenersi contra legem.
Il dottor Paolo Squicciarini – vale la pena ricordarlo – è il ‘grande accusatore’ di Brega Massone, colui che ha analizzato tutte le cartelle cliniche sequestrate, segnalato i casi da contestare e redatto ‘schede’ consegnate agli altri consulenti della procura. Ora: è chiaro che il dottor Squicciarini, che dal 1997 svolge unicamente l’attività di medico di base e ha giusto una laurea in chirurgia generale alle spalle, non possiede la competenza necessaria, né teorica né pratica, per valutare casi clinici che rientrano nella branca specifica della chirurgia toracica. È talmente evidente che senza entrare nella cavillosità dei codici di procedura penale di cui non possediamo certo la dovuta competenza, ma appellandoci alla mera logica, lo sosteniamo fin da quando siamo entrati in questa vicenda giudiziaria, analizzando la documentazione. La Corte ha respinto la pregiudiziale, ritenendo le competenze del dottor Squicciarini sufficienti a rispondere al quesito a lui posto dalla procura nell’affidamento dell’incarico, e cioè: esaminate le cartelle cliniche ed “evidenziate le regole del sistema in merito alle attività di controllo degli Enti Pubblici a ciò preposti, dica il consulente se vi sia stata una corretta codifica delle prestazioni sanitarie erogate e in quale misura la modalità di erogazione delle stesse si posiziona rispetto al contesto regionale di riferimento; qualora venissero individuate anomalie nella codifica e nella modalità di erogazione quantifichi la diversa valorizzazione delle prestazioni indicando il danno subito dall’Ente Pubblico” (3). Qualunque cosa indicasse il criptico quesito, osserviamo che la consulenza Squicciarini non contiene alcuna “diversa valorizzazione delle prestazioni”: per la valorizzazione, infatti, la procura ha nominato consulente Luca Merlino, della direzione regionale Sanità. Non poteva fare diversamente, dato che lo stesso Squicciarini scrive: “Fermo restando la non piena conoscenza dei codici diagnosi e dei codici degli interventi/procedure che una volta elaborati tramite software specifico determinano l’assegnazione delle tariffe stabilite (DRG), l’esame delle cartelle cliniche in questa fase, è stato effettuato solo da un punto di vista medico e per quanto riguarda l’adeguatezza dei codici DRG utilizzati si richiede la collaborazione di personale qualificato” (4). Un’affermazione curiosa se la si mette a confronto con quanto
dichiarato oggi in aula da Squicciarini stesso, e cioè che
il suo incarico era relativo alla sola valutazione dell’esistenza
o meno del reato di truffa, ipotizzato dalla procura a carico del
dottor Brega nel settembre 2007. Ci si chiede come un consulente
che dichiara la “non piena conoscenza dei codici diagnosi
e dei codici degli interventi/procedure” possa essere ritenuto
competente a valutare l’esistenza di una eventuale truffa,
dato che un’azione truffaldina, nell’attuale sistema
sanitario basato su rimborsi legati ai Drg, si basa proprio sulla
non corretta indicazione dei codici di diagnosi e procedure. Nella nomina successiva la procura aggiusta il tiro. L’incarico è conferito il 26 settembre 2008, il dottor Brega è già agli arresti, e all’accusa di truffa si è aggiunta quella ben più grave di lesioni dolose per una supposta mancanza di indicazione chirurgica negli interventi eseguiti. I ppmm chiedono quindi al consulente, “evidenziate le regole del sistema in merito alle attività di controllo degli Enti Pubblici a ciò preposti, se vi sia stata congruità tra la diagnosi riportata in cartella clinica e il trattamento eseguito e se l’eventuale incongruità sia per eccesso e per difetto” (5). Non si parla più di valorizzazione e di codifiche, ma di congruità tra diagnosi e terapia. Squicciarini è sempre lo stesso medico di base di un anno prima, eppure questa volta riveste l’incarico di consulente medico-scientifico competente a valutare l’operato di un chirurgo toracico – cosa, peraltro, che oggetto del quesito o meno, ha fatto anche nei due precedenti incarichi di consulenza. A voler fare un po’ di ironia, si potrebbe dire che se l’abito
non fa il monaco, il quesito non fa il consulente. Comunque la si
giri, infatti, codici Drg o valutazione diagnosi/terapia, Squicciarini
non pare possedere le “specifiche competenze” necessarie
a rispondere ai due diversi quesiti posti dalla procura. L’udienza è aggiornata al 5 giugno.
1) Francesco Sartori, direttore del Dipartimento
di Scienze Cardiologiche Toraciche e Vascolari dell'Università
di Padova
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La dottoressa Arabella Galasso per la prima volta in aula: la valenza probatoria delle sue intercettazioni telefoniche si sgonfia come un soufflè
Per la prima volta, la dottoressa Arabella Galasso ha testimoniato
in aula. Chirurgo ortopedico alla Santa Rita all’epoca dei
fatti, il suo nome è rimbalzato sui media fin dal giorno
degli arresti nel giugno 2008, legato a quelle intercettazioni telefoniche
a effetto – stralci scelti con cura – che più
di ogni altra rappresentazione giornalistica hanno creato nell’opinione
pubblica l’immagine, divenuta indelebile, della ‘clinica
degli orrori’. Anche all’interno dell’aula giudiziaria,
nel corso del primo processo Santa Rita, le parole della Galasso
hanno prodotto la medesima rappresentazione, al punto che la sentenza
di primo grado parla della “loquace dottoressa Galasso”
e definisce le sue telefonate tra “le più significative
conversazioni intercettate, alcune delle quali esplicite nell’indicare
in Brega Massone il ‘principe’ delle condotte truffaldine”
(1); impostazione ripresa anche nelle motivazioni della sentenza
di appello. Le domande quindi che ci siamo posti, una volta analizzati i documenti
del primo processo, sono le stesse che abbiamo poi inserito nel
libro inchiesta: che cosa intendeva dire la Galasso con questa affermazione,
e soprattutto, su quali basi e conoscenze dirette la pronunciava?
In sintesi, oggi la dottoressa ha affermato che non aveva un rapporto
professionale particolarmente stretto con Brega, dato i diversi
ambiti di competenza (ortopedia e toracica), ma che nelle occasioni
di collaborazione Brega si era comportato correttamente e con professionalità;
ha detto che la frase “il principe di queste cose” era
riferita ai passaggi di cartelle acuto/riabilitazione; ha specificato,
su domanda della difesa Brega, che non aveva alcuna conoscenza diretta
di questi passaggi ‘truffaldini’ di cartelle, era solo
una voce di corridoio che girava nella clinica. A questo punto, il pm Siciliano ha contestato la deposizione, affermando
che le dichiarazioni di oggi della Galasso erano diverse “nei
toni” da quelle da lei stessa rilasciate nel corso dell’interrogatorio
del giugno 2008, e insinuando che questo dipendesse dal fatto che
la dottoressa fosse stata danneggiata, economicamente e professionalmente,
dall’inchiesta giudiziaria, e dunque nutrisse risentimento
verso la procura. Analizziamo il verbale dell’interrogatorio del 25 giugno
2008. Non sembra affatto, in conclusione, che oggi in aula la dottoressa
Galasso abbia detto cose diverse rispetto all’interrogatorio
del giugno 2008; di certo, se la procura l’avesse chiamata
a testimoniare nel corso del primo processo, anziché rinunciarci,
la valenza probatoria della “loquace dottoressa Galasso”
sarebbe stata riportata alla sua realtà, ossia al nulla.
L’udienza è aggiornata al 3 giugno.
1) Sentenza del Tribunale di Milano, IV Sezione penale, n. 11584/2010 del 28 ottobre 2010, pag. 947
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In aula i radiologi: un autogol della procura che rivela ben più di un semplice errore di valutazione. L’impianto accusatorio inizia a mostrare il suo volto teorematico
Oggi si è assistito a una pessima figura dei pubblici ministeri,
che rivela di questo processo aspetti che vanno oltre la questione
che si è affrontata in aula: inizia a mostrarsi l’aspetto
teorematico dell’impianto accusatorio. La tesi che oggi la procura voleva dimostrare alla Corte, era chiara: il dottor Brega falsificava i referti delle lastre per giustificare, con una pezza di appoggio in cartella, la propria scelta di intervenire chirurgicamente. Una tesi che, implicitamente, mira a sostenere l’aspetto del dolo riferito al reato di lesioni, e dipinge un’immagine di Brega Massone a dir poco diabolica: non solo faceva operazioni inutili per soldi, ma la sua macchinazione arrivava al punto di falsificare i referti! Un’idea espressa con chiarezza dal pm Grazia Pradella anche durante il Verbale di assunzione informazioni del dottor Prati del 26 settembre 2008, dove si legge: P.M. - Il nostro timore, a questo punto, le spiego qual è.
Non tutte le Tac ci sono. Non tutte le lastre ci sono. Per inciso, al 26 settembre 2008 il pm Pradella sa bene che Tac e lastre non sono in cartella ma nelle mani dei pazienti, e che in ogni caso la clinica ne aveva copia digitale in un server dedicato; non sono in cartella, quindi, non certo perché Brega volesse farle ‘sparire’ perché compromettenti per lui, come lascia credere al dottor Prati, che sull’onda replica: “Perché chissà cosa paciugava”. Ma andiamo all’udienza di oggi. In sostanza, Plaitano non ha detto alcunché a conferma della tesi della procura; se è stato portato in aula per sostenerla, visto che era un teste dell’accusa, o si è trasformato in un autogol o qualche conto è stato fatto di fretta. C’è da registrare che i ppmm hanno proposto, all’ultimo momento, di non sentirlo ma di acquisirne solo il verbale di informazione redatto a suo tempo, nel settembre 2008; la difesa si è opposta e Plaitano è entrato in aula. Ma indubbiamente era la dottoressa Saccheri il teste-chiave della
procura per la tesi della falsificazione; ha testimoniato per seconda,
ed è stato il secondo autogol. Se un referto, in un secondo momento, veniva corretto, in genere
dopo un confronto con il clinico (l’ortopedico, il chirurgo
ecc.) – e capitava, ha ribadito più volte la dottoressa
Saccheri, il radiologo può sbagliare perché non è
un clinico, e può non vedere cose che un chirurgo è
in grado di vedere – c’erano due possibilità:
si scriveva un “addendum”, integrando il referto già
esistente, oppure si dettava da capo l’intero referto che
veniva riscritto dalle segretarie. Tutti questi dettagli, che paiono pure noiosi, in realtà sono importanti. Casus belli, infatti, di questa ‘teoria della falsificazione’ della procura, è la presenza, tra quelle sequestrate, di una cartella contenente due referti per una stessa lastra. Quando i pubblici ministeri se ne sono accorti, hanno chiamato la Saccheri per chiedere informazioni (era il 26 settembre 2008) e davanti ai due referti – entrambi siglati da altro medico con la dicitura “per” – la dottoressa ne ha riconosciuto uno come proprio – per lo stile con cui è scritto – e ha negato di aver steso l’altro. Non è questione di poco conto. Il (doppio) referto è un controllo, eseguito rispetto a una Tac precedente di cinque giorni; uno registra: “Permane, anche se discretamente diminuito la falda di versamento pleurico localizzata a livello dello sfondato costovertebrale di sinistra”, mentre nell’altro si legge: “Discretamente aumentata la falda di versamento pleurico a livello dello sfondato costovertebrale sinistro”. Il primo dichiara dunque una diminuzione, il secondo un aumento; è chiaro che l’uno contraddice l’altro. La tesi della procura – come si evince anche dalle affermazioni
del pubblico ministero a Prati, sopra riportate – vuole che
Brega abbia falsificato il referto, descrivendo un aumento inesistente,
per giustificare l’operazione chirurgica. Innanzitutto, se la procura ha avuto il dubbio, in fase di indagini,
che Brega avesse falsificato dei referti, allora questa doveva essere
una ragione in più, e non di poco conto!, per acquisire la
lastre e consegnarle ai propri consulenti, per una corretta valutazione
di tutti i casi relativi alle cartelle cliniche sequestrate.
Cosa di cui, inspiegabilmente, la procura non si è preoccupata. Ora: per come la Saccheri ha descritto l’iter procedurale
della refertazione, la cosa più logica che si possa pensare
è che Brega, guardando la Tac, si sia accorto dell’aumento;
che l’abbia dunque verificata con un altro radiologo, magari
quando la Saccheri non era di turno; che anche questi abbia visto
l’aumento, sfuggito alla Saccheri – può succedere,
uno sbaglio – e abbia quindi dettato da capo l’intero
referto, poi trascritto dalla segretaria; e che poi, per sbaglio,
entrambi i referti siano finiti archiviati in cartella. Non è affatto banale, tuttavia, è anzi sorprendente
(per non dire inquietante), che la procura non abbia fatto questo
semplice ragionamento; che una volta accertato, nell’ottobre
2008, con il dottor Cornalba, quale fosse il referto corretto, abbia
continuato sulla strada dell’ipotesi della falsificazione
dolosa – utile alla costruzione del teorema
accusatorio. Tutta questa storia (possiamo chiamarla farsa?) non
doveva nemmeno essere oggetto di un’udienza in un’aula
giudiziaria. La dottoressa Saccheri ha poi parlato di un altro caso, senza ricordarne
alcun estremo per poter risalire al paziente e alla relativa cartella
clinica, in merito al quale lei non aveva rilevato, dalla lastra,
una “contusione polmonare” che invece Brega sosteneva
ci fosse; oggi in aula ha ribadito che la contusione poteva benissimo
esserci, dal punto di vista clinico, ma non dal punto di vista radiologico;
ha detto che dopo la discussione con Brega è rimasta ferma
nella sua posizione, non volendo modificare il referto, e che per
caso, in seguito, gli è capitato in mano e la contusione
polmonare vi era riportata. Ha sostenuto che non sa chi l’avesse
modificato, ma di certo non lei. In poche parole, anche la Saccheri ha fornito ben poco sostegno
alla tesi della procura. *** P.M. - Intendevo dire, è una cosa che sospettava? Aveva
qualche ... *** P.M. - Senta, Lei ha mai avuto, anche durante le discussioni con
Brega, frasi - latu sensu - minacciose? Cioè, del
tipo “guarda che io ho i mezzi per incastrarti”, o di
questo genere? *** DOTT. SQUICCIARINI - Ti è mai capitato che qualche tuo
radiologo, visto che tu le Tac, dicevi, le refertavi pochissimo,
si stupisse di referti Tac preoperatori che non evidenziavano patologie
... *** PRATI - No, ma io non so capacitarmi di questo referto, però.
Ma allora mi dice che si può entrare nel sistema di ... si
possono cambiare i referti? *** PRATI - Certo che se uno entra nel sistema informatico ... io
non lo sapevo, Dottoressa, veramente, del poter entrare. .. questa
cosa qui mi ha... poteva farmelo vedere all’inizio, così
non riuscivo più a parlare. Perché mi ha allibito,
questa cosa qui. Sarà d’uopo che abbandoni la Santa
Rita, Dottoressa. Le dico la verità. No, non è possibile,
‘sta cosa qui. Non so ... Dica. *** Per inciso, Prati non è la prima persona, e probabilmente
non sarà l’ultima, che cita Mezzetti e Santambrogio
come alti – e pari grado – riferimenti della chirurgia
toracica; è il caso di ricordare, per l’ennesima volta,
che sui casi TBC contestati al dottor Brega,
hanno avuto pareri totalmente discordi. In aggiunta, Prati conferma di conoscere sia Santambrogio che Legnani (“Santambrogio viene a cena spessissimo con me” e di Legnani è “molto amico”), ma afferma di non aver saputo nulla di preciso sul lavoro della commissione Asl, dal primo, e di “essersi tirato” fuori dalla faccenda, una volta messo in contatto il secondo con la proprietà della clinica. C’è inoltre da osservare la presenza di Paolo Squicciarini all’interrogatorio, e davvero non si comprende in quale veste e che cosa ci stia a fare. Come anticipato, del dottor Celano scriveremo a parte.
1) All’epoca dei fatti: Raffaele Plaitano,
capo tecnico della radiologia clinica Santa Rita; Silvia Claudia
Saccheri, radiologa in Santa Rita; Gian Luigi Prati, responsabile
del reparto di radiologia della Santa Rita
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Commissione Asl, il corale ritornello delle lastre ‘superflue’
Oggi hanno sfilato i componenti della commissione
Asl – Chiara Porro de Somenzi, Paolo Bulgheroni, Luigi Santambrogio,
Aldo Bellini (1) – ma dobbiamo subito dire che, al contrario
di quanto avevamo auspicato, una gran luce sulla nebulosa questione
Asl non è stata fatta. La dottoressa Porro ha affermato che la commissione si è istituita per la segnalazione, nell’agosto 2007, da parte di una Unità operativa malattie infettive, di ‘anomale diagnosi’ di alcuni casi di TBC effettuate attraverso un intervento chirurgico (7 casi in 18 mesi, dal gennaio 2006 a luglio 2007); giusto per contestualizzare i numeri, nel 2006 i casi di TBC denunciati in Italia sono stati 4.503, dei quali 1.035 nella sola Lombardia; nel 2007 le TBC sono state 4.525, di cui 1.067 in Lombardia (4). Ognuno tragga le proprie valutazioni. Uno degli aspetti fondamentali, anche in questa vicenda (di cui abbiamo sintetizzato gli estremi qui), è relativo alle lastre, non contenute all’interno delle cartelle cliniche e dunque non visionate dalla commissione per la valutazione dell'iter diagnostico/terapeutico. Quel che più sorprende è il fatto che da ‘necessarie’ siano divenute ‘superflue’. Nel verbale Asl del 7 settembre 2007 si legge: “Il Dr. Bulgheroni
e il Prof. Santambrogio sottolineano la necessità di poter
esaminare la lastre effettuate nei pazienti in questione, per meglio
analizzare i casi”; la dottoressa Porro si incarica di reperirle
e nel frattempo la commissione decide di proseguire “per una
prima valutazione d’insieme” e “decide di rimandare
i giudizi/conclusioni a dopo che i componenti avranno esaminato
la cartelle cliniche e le immagini radiografici precedenti
l’intervento chirurgico” (5); dove precedente
è la parola chiave. A domanda della difesa di Brega Massone sul perché fosse
“preferibile soprassedere”, la dottoressa Porro ha risposto:
per non allarmare i pazienti. Francamente, non è chiaro di
che cosa si sarebbero dovuti allarmare, dal momento che tutti avevano
avuto diagnosi di TBC ed erano stati ricoverati al centro dedicato
di Villa Marelli – dove lavorava, tra l’altro, il dottor
Bulgheroni – e dunque erano ben consapevoli di avere contratto
l’infezione. La commissione Asl infatti ‘condanna’ Brega per non
aver seguito il corretto percorso diagnostico/terapeutico previsto
per la TBC, ossia anamnesi, analisi di laboratorio ecc.; peccato
che se Bulgheroni e Santambrogio avessero avuto modo di vedere le
lastre precedenti l’intervento chirurgico, come correttamente
avevano chiesto, forse avrebbero compreso (forse no, non lo sappiamo)
perché il dottor Brega avesse optato per un intervento di
mini chirurgia. Mezzetti e Pozzi, visionando le lastre, lo hanno
compreso. A domanda della difesa sul perché le lastre fossero quindi
divenute da ‘necessarie’ a ‘superflue’,
la risposta di Porro, Bulgheroni e Santambrogio è stata un
coro a una voce sola: non stavamo valutando l’operato di un
medico ma il rispetto di percorsi diagnostici/terapeutici, e per
far questo era sufficiente quanto presente in cartella. In merito ai curiosi contatti evidenziati dalle intercettazioni telefoniche ed emersi nel corso dell’udienza dell’8 maggio, Santambrogio ha affermato di conoscere il dottor Legnani da molti anni, di avere un rapporto amicale e professionale contraddistinto da confronti quasi giornalieri, ma di non aver mai discusso con lui delle valutazioni date all’interno della commissione Asl; ha confermato di aver sentito il dottor Prati, radiologo della Santa Rita, in più occasioni, ma di non essere mai entrato, nemmeno con lui, nel merito del lavoro svolto in commissione. Prendiamo atto e vedremo cosa avranno da dichiarare in merito Legnani e Prati, se e quando saranno chiamati in aula a deporre. Per chiudere, evidenziamo in questa occasione – e una volta
per tutte – che in queste controcronache non entreremo negli
aspetti medico-scientifici dei casi clinici oggetto del dibattimento,
non possedendo, con tutta evidenza, la competenza per farlo, nemmeno
per limitarsi a riportare quanto espresso in aula; ci limiteremo
quindi, quando possibile, a evidenziare le contraddizioni e le incongruità,
e a mettere a disposizione la documentazione. Una decisione che
ha caratterizzato anche la stesura del libro inchiesta, e della
cui bontà abbiamo avuto oggi l’ennesima conferma. Chi scrive è nella stessa posizione degli avvocati, e vale
la pena ricordare che il gruppetto è nutrito: vi appartengono
anche i giudici, togati e popolari, e i pubblici ministeri. L’udienza è aggiornata al 20 maggio.
1) Chiara Porro de Somenzi, all’epoca dei
fatti direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl città
di Milano; Paolo Bulgheroni, responsabile del reparto di broncopneumologia
dell’Azienda ospedaliera Niguarda-Villa Marelli; Luigi Santambrogio,
responsabile dell’Unità di chirurgia toracica della
Fondazione ospedale maggiore Policlinico di Milano; Aldo Bellini,
all’epoca dei fatti dirigente responsabile dei Noc
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La valorizzazione della presunta truffa e la 'sparizione' del consulente medico-scientifico, Paolo Squicciarini
Oggi è stata la volta di Luca Merlino e di Antonino Michele
Privitera. Che Merlino si intenda di Drg, non ci sono dubbi, ed era stato
consulente dei ppmm, con lo stesso incarico, anche per il primo
processo Santa Rita. Tuttavia sorprende rivederlo in aula –
almeno sorprende noi – dato che nel frattempo sono esplosi
gli scandali Maugeri e San Raffaele, che vedono indagati per corruzione
Carlo Lucchina, ex direttore generale Sanità, e Roberto Formigoni,
e nei quali il dottor Merlino è teste-chiave per la procura;
ha infatti dichiarato: «I soldi pubblici erogati al San Raffaele
e alla Maugeri? I criteri delle delibere erano ispirati in modo
da aiutare i due ospedali» (qui)
e anche: «Daccò indicava la somma di cui [Maugeri e
San Raffaele, n.d.a.] avevano necessità e poi i
tecnici dovevano dare una veste formale all’erogazione»
(qui).
La sua valorizzazione si è basata sulle valutazioni dei
consulenti medico-scientifici della procura, e a domanda della difesa
di indicarli nello specifico, i ppmm hanno risposto: Sartori, Greco,
Olivieri (1). Colpisce che non sia stato citato anche Paolo Squicciarini
(2), primo consulente a essere nominato dalla procura e ‘grande
accusatore’ di Brega Massone, il quale, pur non possedendo
alcuna competenza in chirurgia toracica, ha ‘scremato’
le quasi 600 cartelle cliniche sequestrate e segnalato i casi da
contestare. Il dottor Merlino ha poi affrontato la questione del Drg 075, il codice ‘incriminato’ correlato al reato di presunte lesioni dolose. Occorre subito sottolineare, per chiarezza, che il codice indicato è corretto, corrisponde infatti all’intervento effettuato dall’équipe di chirurgia toracica della Santa Rita (la Vats, o video-toracoscopia, un intervento di chirurgia mini-invasiva); la presunta truffa quindi non consiste nell’aver indicato falsi codici di diagnosi e/o di interventi chirurgici non realizzati, ma si lega alla mancanza di indicazione chirurgica espressa nelle relazioni dei consulenti medico-scientifici della procura. Il dottor Privitera (3) è invece consulente dell'accusa
in merito all’ipotesi di truffa sui cosiddetti ‘ricoveri
ripetuti’, ossia quei ricoveri caratterizzati da passaggi
tra reparti per acuti e il reparto di riabilitazione della Santa
Rita, reato di cui è imputato Brega Massone e un altro medico.
Privitera ha prima fatto una panoramica su che cosa si intenda per
‘riabilitazione’ e le caratteristiche che un ricovero
deve presentare per essere considerato tale – indicativamente
e non esaustivamente: valutazione specialista pre ricovero, progetto
riabilitativo, programma redatto da un fisioterapista con gli obiettivi
da raggiungere – e ha poi espresso la propria valutazione
sulle cartelle cliniche analizzate oggetto della sua consulenza.
Il punto della questione sta nel fatto che il Drg della riabilitazione
non paga a forfait, come il Drg per acuti, ma a giornata: all’epoca
dei fatti, circa 200 euro al giorno in capo alla clinica, mentre
l’équipe di chirurgia toracica percepiva 10,33 euro
giornalieri (lordi di imposte). Appare infatti plausibile quanto da lui stesso dichiarato nel corso del primo processo, ossia che il passaggio amministrativo in riabilitazione fosse un input della proprietà della clinica: “[...] Nel 2004 o siamo lì insomma, io fui chiamato [da Pipitone, n.d.a] e mi fu detto che praticamente la nostra chirurgia, siccome io facevo i grossi interventi, le pleuropneumonectomie [...] troppo grossi e non redditizi fondamentalmente per la clinica […] per cui mi fu ventilata l’ipotesi o di non proseguire una collaborazione oppure di produrre eventualmente dei correttivi e i correttivi mi furono proposti da loro, cioè... suggeriti... direi mi fu detto: «Ma lei la riabilitazione la fa?», io ho detto sì e allora mi fu detto: «Facciamo che il paziente viene passato in riabilitazione». Quando poi io ebbi dei casi, perché poi ognuno, voglio dire, io le posso dire che non ero a conoscenza perché non le sapevo queste cose, se le avessi sapute ovviamente magari le avrei fatte anche dal primo giorno voglio dire, se mi fossero state dette di farle, a me fu detto che, utilizzando la riabilitazione, la riabilitazione andava data; all’inizio non mi diedero penso neanche niente, poi un giorno mi chiamarono e mi dissero: «Sì, per l’équipe è 10 euro e 33 al giorno», per cui le ripeto che per me la cosa non era certo la riabilitazione un problema, il mio problema fu quello di, come dire, seguire determinate regole che lì erano state dette e mi fu detto: «Lo fa la medicina, lo fa l’ortopedia, lo faccia anche la chirurgia» (4). In controesame, la difesa della (ex) Santa Rita ha innanzitutto
rilevato come tra le cartelle analizzate ve ne siano alcune già
inserite nel precedente dibattimento, e dunque da eliminare dal
capo di imputazione – evidentemente la procura non se n’è
accorta... Poi ha evidenziato come molte cartelle fossero già
state oggetto di annullamento da parte dei Noc (5), e dunque il
relativo Drg sia già stato rimborsato alla Regione –
questione importante sotto l’eventuale profilo risarcitorio,
dato che Regione Lombardia e Asl si sono costituite parte civile
nel processo. Una nota a margine. L’udienza è aggiornata al 15 maggio.
1) Francesco Sartori, direttore del Dipartimento
di Scienze Cardiologiche Toraciche e Vascolari dell'Università
di Padova; Marco Greco, direttore del Dipartimento di senologia
dell'ospedale San Gerardo di Monza; Dario Olivieri, direttore della
Scuola di specializzazione di pneumologia dell'Università
di Parma
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È iniziato il secondo processo in Corte di Assise, in
aula l'ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito le indagini
coadiuvandosi con la procura. Una testimonianza faticosa, scandita
da “non ricordo”, “non so” e “non
abbiamo indagato in quella direzione”, e una difesa incalzante.
Quella che si può considerare la prima udienza del processo
– le precedenti avevano semplicemente registrato rinvii di
natura tecnica – è stata lunga (è terminata
alle 18.00) e particolarmente interessante. Primo testimone della
procura il colonnello Cesare Maragoni della Guardia di finanza,
che ha eseguito l’indagine giudiziaria coordinandosi con le
ppmm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano. Oggetto dell’udienza
è stata la ricostruzione dell’attività investigativa
che ha portato alla formulazione dei capi di accusa e all’arresto,
il 9 giugno 2008, di diverse persone tra cui il dottor Brega Massone
e i due aiuti dell’equipe di chirurgia toracica. Quella di oggi del colonnello Maragoni è stata a tratti faticosa, scandita da “non ricordo”, “non so” e “non abbiamo indagato in quella direzione”. Il pubblico ufficiale ha iniziato dichiarando che le indagini sulla clinica Santa Rita sono state avviate all’interno di un’attività tesa a investigare diverse cliniche private accreditate dell’area milanese, con lo scopo di verificare se vi fossero state truffe ai danni del Sistema sanitario nazionale; sono dunque stati analizzati i dati relativi ai rimborsi DRG inviati alla Regione Lombardia da parte della Santa Rita, e alcuni di essi sono stati ritenuti “anomali” rispetto ai dati forniti dagli altri ospedali regionali, e quindi potenzialmente truffaldini. In aggiunta, la Guardia di finanza aveva precedentemente ricevuto una lettera anonima che denunciava attività illecite all’interno di alcuni reparti della clinica (non la chirurgia toracica), denuncia che, a seguito delle relative indagini, si è scoperta del tutto infondata. Anche alcuni dati ritenuti inizialmente anomali, ha dichiarato il colonnello Maragoni, alla verifica delle cartelle cliniche sequestrate il 20 luglio 2007 si sono rivelati, al contrario, corretti. Continuando nella ricostruzione dell’attività investigativa, il colonnello ha ricordato che in questa prima fase di indagine il reparto di chirurgia toracica del dottor Brega non era sotto inchiesta, perché l’analisi sui dati non aveva riscontrato alcuna anomalia. Solo alla fine di settembre, e precisamente il 29, la procura ha sequestrato le cartelle del reparto e messo sotto controllo le utenze telefoniche di Brega, a seguito di una relazione ricevuta dalla Asl Città di Milano stilata da una commissione interna, istituita 20 giorni prima, il 5 settembre, per valutare l’operato del chirurgo su 7 casi di pazienti affetti da TBC; le conclusioni della commissione erano state negative – non sono stati rispettati i protocolli di prevenzione e si ravvisa una inappropriatezza diagnostica e terapeutica, si legge nel verbale del 25 settembre. Il 26 dello stesso mese la direzione Asl aveva sospeso l’operatività del reparto della Santa Rita e inviato copia della relazione alla procura di Milano. Ed è da qui, dall’operato della Asl – tutt’altro
che cristallino e da cui tutto è partito – che l’udienza
ha iniziato a farsi interessante: la difesa di Brega Massone, in
fase di controesame del teste, ha sottolineato gli aspetti poco
chiari che l’hanno caratterizzato e colpevolmente ignorati
dalle indagini della procura, e la testimonianza del colonnello
Maragoni ha iniziato a registrare i “non ricordo”, “non
so”, “non abbiamo indagato in quella direzione”.
In una telefonata del 2 ottobre 2007, parlando con un collega
della Santa Rita, Prati afferma: La telefonata si conclude così: In una telefonata successiva del 15 ottobre, sempre Prati parla
con il professor Legnani: Quel “Luigi” che Legnani deve vedere per il fine settimana
è Luigi Santambrogio, ha affermato la difesa di Brega senza
essere smentita – anche perché, ascoltando la conversazione,
è una conclusione ovvia. “Luigi” che compare
poi nuovamente nella stessa telefonata: Collegata a questi curiosi contatti tra un membro della commissione
Asl (“il numero uno, quello che deciderà”...
che cosa?) e persone legate alla Santa Rita (a cui la Asl ha appena
chiuso un reparto), c’è poi un’altra telefonata,
successiva di circa tre mesi, citata dagli avvocati di Brega. È
del 4 gennaio 2008, tra il dottor Brega e Cristina Cantù,
che è appena subentrata alla direzione Asl sostituendo il
dottor Mobilia; Brega vuole, com’è ovvio, chiarire
la propria posizione con il nuovo direttore generale, e la stessa
dottoressa Cantù per tutta risposta afferma: “Io credo
che davvero lei sia un effetto collaterale”, “si cerca
sempre un capro espiatorio”. A questo punto la difesa ha chiesto al colonnello Maragoni se l’ascolto
di queste telefonate non avesse fatto sorgere spunti investigativi
in merito all’operato della commissione Asl, aspetti poco
chiari da indagare, e il teste ha risposto: “No”. Vi è poi la questione lastre (RX, TAC, PET), altro aspetto importante ritenuto marginale da parte della procura e del tribunale del dibattimento precedente e ieri evidenziato dalla difesa di Brega Massone. Le cartelle cliniche relative al reparto di chirurgia toracica sequestrate dalla Guardia di Finanza il 29 settembre 2007, non le contenevano; era infatti prassi della clinica consegnare gli originali ai pazienti, e tenerne solo copia digitale su un server a parte. I consulenti medici della procura, quindi, hanno fatto le loro valutazioni basandosi solo sui referti scritti dal radiologo e non visionando direttamente le lastre – al contrario, per inciso, dei consulenti di Brega Massone, Mezzetti e Pozzi compresi, che invece per scrivere le loro perizie ne hanno preso visione. Questione di non poco conto per valutare l’esistenza o meno dell’indicazione chirurgica (e dunque l'accusa di lesioni dolose...), poiché ogni chirurgo decide se procedere o meno all’operazione visionando direttamente le immagini e non appoggiandosi al referto: non è infatti detto che il radiologo e il chirurgo siano d’accordo nella valutazione, spesso si consultano a voce e particolari che possono sembrare normali o irrilevanti agli occhi del radiologo possono invece apparire significativi a quelli del chirurgo, come ha dovuto riconoscere nel precedente dibattimento anche il professor Sartori, consulente della procura (che ha steso la propria valutazione sulla base dei soli referti presenti nelle cartelle sequestrate): “[Il chirurgo toracico] è in grado di interpretare una radiografia del torace spesso come e meglio di un radiologo perché il chirurgo generalmente poi vede quello che c’è dentro dopo aver visto dopo quello che c’è fuori” (4). Gli avvocati di Brega hanno precisato che la questione era stata
sollevata anche all’interno della commissione Asl –
nel verbale del 7 settembre 2007, di cui la procura aveva ricevuto
copia a fine settembre, si legge: “Il Dr. Bulgheroni e il
Prof. Santambrogio sottolineano la necessità di poter esaminare
la lastre effettuate nei pazienti in questione, per meglio analizzare
i casi” (le lastre non saranno poi reperite dalla commissione)
– e si era mostrata pregnante anche nella telefonata intercettata
del 7 ottobre 2007 tra il dottor Legnani e il notaio Pipitone, nella
quale lo stesso Legnani, spiegando la propria valutazione negativa
sui casi Asl, afferma: “Io… è una situazione
molto difficile, perché… io, ho premesso, non ho visto
le radiografie, eh? Mi sono basato solo sui referti che sono allegati
alle cartelle, non ho visto dal vivo le radiografie perché
ci vogliono… centinaia di ore, ecco, per vedere tutto assieme,
capisce? Quindi mi sono basato solo sulla cartella clinica con i
referti allegati”. Un altro aspetto importante che si è evidenziato nel corso
dell’udienza riguarda la modifica di ipotesi di reato verificatasi
nel corso delle indagini. L’avviso di garanzia recapitato
al dottor Brega a fine settembre 2007, in concomitanza con il sequestro
delle cartelle cliniche, era relativo al solo reato di truffa e
falso. Quali elementi hanno spostato il fuoco dell’indagine
sul presunto reato di lesioni dolose?, ha chiesto la difesa di Brega
al colonnello Maragoni. Qui la testimonianza si è fatta un
po’ vaga. Se così fosse stato, per quanto ancora incomprensibile
nelle ragioni, potrebbe avere avuto almeno una giustificazione dal
punto di vista temporale. Ma così non è stato. La
risposta data dal colonnello infatti non corrisponde al vero. Durante l’udienza è stata anche
citata la famosa telefonata del 25 gennaio 2008 relativa alla ‘mammella
novantenne’, che all’epoca degli arresti ha fatto il
giro dei giornali e dei programmi televisivi (in versione stralcio,
ovviamente...). Non rientra tra i capi di imputazione del processo
ma ha avuto (ed evidentemente ha tuttora, dato che è tornata
a fare capolino anche in questo secondo dibattimento) una forte
(e strumentale) risonanza mediatica. Questi gli aspetti, a nostro avviso salienti, dell’udienza.
In conclusione, una buona prima udienza, a nostro avviso. Certo
il processo è lungo, ma forse questa volta assisteremo a
un dibattimento caratterizzato da un equilibrio tra accusa e difesa
e terzietà della Corte; e magari sarà anche sbrogliata
qualche matassa, aggrovigliata ormai da cinque anni.
1) Maurizio Mezzetti, direttore della Divisione
di chirurgia toracica all'Istituto europeo di oncologia (IEO) di
Milano dal 1994 al 1997, direttore della Divisione di chirurgia
toracica all’ospedale San Paolo di Milano dal 1997 al 2007,
direttore della Scuola di specialità in chirurgia toracica
dell'Università degli studi di Milano dal 1999 al 2005, attuale
Presidente FONICAP (Forza Imperativa Nazionale Interdisciplinare
Contro il Cancro del Polmone) – e a suo tempo insegnante,
tra l’altro, dello stesso Santambrogio, membro della commissione
Asl
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