È uscito il numero
61
febbraio - marzo 2019
Contenuti per tema |
Europa |
economia |
lavoro e conflitto sociale |
nuove tecnologie |
la sinistra in Italia |
la nuova destra in Europa |
ecologia |
Stati Uniti |
NO Expo |
privatizzazioni |
politica dell'immigrazione |
rapporto cultura, informazione e potere |
scontro politica e magistratura |
osservatorio sulla mafia |
rapporto Stato e Chiesa |
politica medioriente |
Il progetto Paginauno |
la
scuola |
Comunicazione |
newsletter |
la stampa |
link |
contatti |
area riservata |
E
se il mostro fosse innocente?
Controcronaca
del processo
al chirurgo Brega Massone
e alla clinica Santa Rita
John Wainwright
Anatomia di
una rivolta
Narrativa
Davide Steccanella
Across the Year
in utero
William McIlvanney
Chi si rivede!
Il Bosco di Latte
Honoré de Balzac
L'albergo rosso
Il Bosco di Latte
Sabrina Campolongo
Emma B
Narrativa
Rinomata Offelleria Briantea
Ventinovecento
Narrativa
Silvia Albertazzi
Leonard Cohen
Manuale per vivere nella sconfitta
Saggistica
Thomas Wolfe
Un'oscura vitalità
Il Bosco di Latte
Francis Scott Fitzgerald
Basil Lee
Il Bosco di Latte
Felice Bonalumi
Storia del gusto
saggistica
Mario Bonanno
33 Giri
in utero
Raymond Williams
Terra di confine
narrativa
47 Autori
Poesie per un
compleanno
La Sposa del Deserto
Rudi Ghedini
Rivincite
Saggistica
Edith Wharton
Triangoli
imperfetti
Il Bosco di Latte
Joseph Conrad
Ford Madox Ford
La natura
di un crimine
Il Bosco di Latte
James Robertson
Solo la terra resiste
narrativa
Christine Dwyer Hickey
Tatty
narrativa
Carmine Mangone
Il corpo esplicito
saggistica
Suzanne Dracius
Rue Monte au Ciel
narrativa
Davide Steccanella
Le indomabili
saggistica
Liam O'Flaherty
Il cecchino
Il Bosco di Latte
Frank O'Connor
Ospiti della nazione
Il Bosco di Latte
Sabrina Campolongo
Ciò che non siamo
narrativa
Paul Dietschy
Storia del calcio
saggistica
Giuseppe Ciarallo
Le spade
non bastano mai
narrativa
Carmine Mezzacappa
Cinema e
terrorismo
saggistica
Massimo Vaggi
Gli apostoli
del ciabattino
narrativa
Walter G. Pozzi
Carte scoperte
narrativa
William McIlvanney
Il regalo
di Nessus
narrativa
William McIlvanney
Docherty
narrativa
Fulvio Capezzuoli
Nel nome
della donna
narrativa
Matteo Luca Andriola
La Nuova destra
in Europa
libro inchiesta
Davide Corbetta
La mela marcia
narrativa
Honoré de Balzac
Un tenebroso affare
narrativa
Anna Teresa Iaccheo
Alla cerca della Verità
filosofia
Massimo Battisaldo
Paolo Margini
Decennio rosso
narrativa
Massimo Vaggi
Sarajevo
novantadue
narrativa
Elvia Grazi
Antonio Prade
Senza ragione
narrativa
Giovanna Baer
Giovanna Cracco
E se il mostro
fosse innocente?
libro inchiesta
John Wainwright
Stato di fermo
narrativa
Giuseppe Ciarallo
DanteSka
satira politica
Walter G. Pozzi
Altri destini
narrativa
Il contenuto di questo sito
è coperto da
Licenza
Creative Commons
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice
Inchiesta |
La ricca economia della
carcerazione di Giovanna Cracco |
Il Piano
Ionta e la privatizzazione delle carceri, la gestione privata di cooperative,
onlus e Misericordie dei Centri per l'immigrazione |
Nel novembre 2008 trapela
sui quotidiani “un’informazione interna non destinata
alla stampa” – così la definisce un portavoce –
del Credito Svizzero, la seconda banca elvetica: il documento propone
fondi d’investimento le cui principali azioni sono quelle delle
corporation che gestiscono le carceri private, società americane
soprattutto. Angela Davis (1) prende a esempio lo stato della
California per mostrare l’incremento del numero degli istituti
di pena nel corso degli anni: la prima prigione fu costruita nel 1852,
la seconda nel 1880. Nel 1955, trascorso dunque un secolo, le carceri
erano diventate nove. Tra il 1984 e il 1989 – presidenza Reagan
– le corporation private entrano nell’affare della costruzione
e della gestione delle prigioni e in cinque anni appena il loro numero
raddoppia, diventando diciotto. Negli anni Novanta se ne aggiungono
altre dodici. Oggi gli Stati Uniti detengono il triste primato di più di due milioni di persone incarcerate su un totale mondiale di nove milioni; più del 20%, quando la popolazione statunitense non arriva a essere il 5% di quella globale; negli anni Sessanta i detenuti erano poco meno di duecentomila. La composizione razziale della popolazione carceraria è un altro dato significativo: latinoamericani e afroamericani sono il 65,2%, i bianchi il 29,2%. Tra i primi sono i latinoamericani a essere il numero maggiore, il 35,2%, e questo la dice lunga sull’evoluzione sociale ed economica della società statunitense. Al tempo della schiavitù, nello stato dell’Alabama, per esempio, il 99% dei detenuti erano bianchi; liberati gli schiavi, la popolazione carceraria divenne in grande maggioranza nera; con i successivi flussi migratori dal vicino centro e sud America, i latinoamericani si sono conquistati il podio della classifica. Resta da vedere nei prossimi anni, quanto l’attuale recessione esplosa con i mutui subprime farà aumentare la percentuale dei carcerati bianchi (ex) ceto medio. Secondo i dati statistici del Dap (Dipartimento amministrazione
penitenziaria), attualmente in Italia sono 206 le carceri e poco più
di 63.000 i detenuti, un numero che dal dicembre 2007 si incrementa
alla velocità di quasi 1.000 persone al mese. Nel 1971 erano
circa 28.000, nel 1991 erano 35.500; nonostante un picco tra il 1984
e il 1985 (quasi 45.000), e non dimenticando indulti e/o amnistie
(anni 1978, 1981, 1986, 1990 che hanno riguardato rispettivamente
circa 11.100, 6.700, 9.700 e 12.000 detenuti) resta il fatto che passati
vent’anni la popolazione carceraria era aumentata di 7.500 persone
(ai ritmi odierni, l’equivalente di sette mesi e mezzo). Ed
è proprio il 1991 che segna una cesura: da allora, il numero
dei detenuti è progressivamente aumentato: 47.300 nel 1992,
50.300 nel 1993, 54.600 nel 1994. Altalenanti i cinque anni successivi,
dalla punta minima del 1995 (46.900) a quella massima del 1999 (51.800),
e da allora nuovamente in costante aumento fino ai 61.000 del giugno
2006, che l’ultimo indulto ha contribuito a portare a 39.000
a dicembre 2006. Si può facilmente supporre che l’aumento
nei tre anni dal ’92 al ’94 sia dovuto anche a Tangentopoli,
è meno chiaro il fatto che gli anni Novanta e i successivi
abbiano prodotto più ‘criminali’ che non i cosiddetti
anni di piombo, catalogati come anni violenti; a meno di non analizzare
il fenomeno con la chiave di lettura della Davis e con quanto già
accaduto negli Stati Uniti. È proprio dopo Tangentopoli, infatti,
che in Italia prende il via il neoliberismo, la privatizzazione del
sistema sociale, la precarizzazione del lavoro. E quindi per quanto
‘violenti’ possano essere stati gli anni Settanta, sono
gli anni successivi, che hanno visto la fine del conflitto sociale
con la sconfitta dei lavoratori, a portare un progressivo e sistematico
aumento di ‘criminali’: cittadini, autoctoni e stranieri,
divenuti superflui al sistema produttivo, affamati da miseri salari,
privi di stato sociale, costretti alla piccola delinquenza per sopravvivere,
per di più criminalizzati da leggi figlie della ‘tolleranza
zero’. Una torta, quella del sistema carcerario, della quale
il grande capitale privato italiano ha deciso di divorare una enorme
fetta: in tempi di crisi come questi non ci si può far sfuggire
l’occasione di investimenti protetti, soprattutto se l’esperienza
di altri Paesi dimostra quanto il settore sia redditizio. Costruzione di 46 nuovi padiglioni in carceri già esistenti e di 22 nuove carceri, per un totale di 17.000 nuovi posti (ben pochi, ma si suppone sia solo l’inizio), tassativamente entro il 2012. Per evitare intoppi, a Ionta vengono riconosciuti poteri straordinari – potrà sostituirsi agli organi amministrativi competenti per accelerare la realizzazione delle opere – e, in caso di ricorsi al Tar, il cui termine per la presentazione è portato da 30 giorni a 5, i contratti già stipulati non verranno sospesi e in caso di accoglimento del ricorso saranno previsti solo risarcimenti monetari: il cantiere carcerario andrà avanti, sempre e comunque. Nel frattempo, per affrontare l’emergenza affollamento, il piano ipotizza l’utilizzo di piattaforme marine o navi ormeggiate in prossimità di porti italiani – una soluzione già adottata in Inghilterra, Stati Uniti e Olanda – giusto per tornare alla radice etimologica della stessa parola ‘galera’, da galea, la nave in cui i detenuti scontavano remando la propria condanna. A finanziare tutto questo, (scarsi) fondi statali,
tra i quali la Cassa delle ammende, e capitale privato. Non a caso
il 15 maggio scorso si sono incontrati al ministero della Giustizia
lo stesso Ionta, Alfano, Emma Marcegaglia e Paolo Buzzetti, presidente
dell’Associazione nazionale dei costruttori edili. Project financing
è la parola magica. Meritevole di rilievo è anche l’utilizzo della Cassa delle ammende, una scelta degna di far parte di una commedia dei paradossi, non fosse che la distinzione tra farsa e tragedia si concreta proprio nel finale. Istituita con una legge del 1932, fino al gennaio di quest’anno aveva lo scopo esclusivo di finanziare interventi in sostegno alle famiglie dei detenuti e programmi di reinserimento di questi ultimi; con un emendamento al ddl 1305 è stato stabilito che finanzierà la costruzione di nuove carceri. Sembra una barzelletta. Anziché aiutare gli ex detenuti a restare liberi, i fondi della Cassa delle ammende costruiranno nuovi muri entro cui rinchiuderli. Ma il sillogismo che sembra essere stato adottato per la variazione di scopo è ancora migliore: essendo quei fondi finalizzati al reinserimento dei detenuti, ed essendo prevista l’utilizzazione dei detenuti stessi per la costruzione delle nuove carceri (per “interventi edilizi complementari” come imbiancare, abbattere muri, spostare brande), ed essendo il lavoro contemplato tra le attività di reinserimento, la Cassa delle ammende può essere utilizzata per la costruzione delle nuove prigioni. Se dal lato carceri la privatizzazione sta muovendo
solo ora i primi passi, da quello Centri per l’immigrazione
il capitale privato già da qualche anno trae lauti profitti.
La gestione dei vari Cspa (Centri di soccorso e prima accoglienza),
Cda (Centri di accoglienza), Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti
asilo) e Cie (Centri di identificazione ed espulsione) è infatti
interamente privata. Con decreto del 21 novembre 2008 a firma del
ministro dell’Interno Maroni è stato stabilito il nuovo
schema di capitolato di appalto che contempla dettagliatamente –
fino a sfociare nel ridicolo con voci che stabiliscono la frequenza
minima con cui deve essere effettuata l’“aspirazione/battitura
pavimenti tessili, stuoie e zerbini” e la “spolveratura
ringhiere scale” – la natura dei servizi di gestione amministrativa,
di assistenza generica alla persona, di assistenza sanitaria, di pulizia
e di fornitura di beni quali pasti, effetti letterecci (lenzuola,
coperte), prodotti per l’igiene personale, vestiario e generi
di conforto. A leggere lo schema di capitolato, la vita in un Centro
per l’immigrazione appare una pensione a tre stelle –
reclusione forzata a parte. Di certo, è per fornire questi
beni e servizi che le varie cooperative sociali e Misericordie e onlus
– chissà, forse non prive anch’esse di mal d’italianità,
in quanto si sta stranamente formando se non un monopolio di certo
un oligopolio – vengono pagate con un canone annuo, valevole
per tre annualità, stabilito al momento della vincita dell’appalto.
Si legge infatti nel capitolato che, a differenza della gestione fino
a oggi adottata, il prezzo non è “più determinato
sulla base del canone pro-die/procapite” e quindi è aggirata
l’equazione più immigrati uguale più guadagni. Eppure, a leggere i punti dello schema si scopre che fino a una variazione, in aumento o in diminuzione, del 10% del numero di persone “ospiti” (meravigliosa potenza del linguaggio…) l’importo stabilito resta valido; in caso di un aumento di presenze che ecceda il 10%, per ogni persona in più la società che gestisce il Centro ha diritto a un rimborso pro-die/pro-capite. Attualmente quasi tutti i Centri esplodono. Si può solo immaginare il numero di persone che arriveranno a contenere – in barba al dettagliato capitolato che parla di generi di conforto e pulizia e in sfregio alla dignità umana – grazie al recente prolungamento a sei mesi del tempo di reclusione nei Cie stabilito nell’ultimo pacchetto sicurezza. E di conseguenza si può solo immaginare l’ammontare del rimborso che spetterà ai vari enti che li gestiscono. Stiamo parlando di decine di milioni di euro se pensiamo che solo per il centro di Lampedusa, quando nell’aprile 2007 la cooperativa Sisifo di Palermo vinse l’appalto, il suo vicepresidente Cono Galipò parlò di circa 2 milioni e mezzo di euro l’anno, e si affrettò a specificare che “secondo i nostri conti ci rientriamo benissimo” (2). In Italia sono attualmente operativi tre Cspa, sette
Cda, sei Cara, e tredici Cie, per un totale di ventinove centri. Tutti
qua? No. Perché il 21 luglio 2008 il governo emise un’ordinanza
che dichiarò “lo stato di emergenza nazionale sull’immigrazione”
e autorizzò l’apertura di cosiddetti ‘mini Cpt’
in edifici messi a disposizione da comuni, associazioni religiose,
e varie onlus. Caratteristica dell’ordinanza fu, in nome di
una dichiarata necessità di abbreviare i tempi di concessione,
di affidare ai funzionari del Viminale il potere di procedere tramite
trattativa privata all’aggiudicazione dell’appalto della
gestione di tali centri, saltando dunque l’iter della gara pubblica.
Ed ecco l’italianità che torna a fare capolino. La procura
di Potenza ha aperto un’inchiesta sulla cooperativa La Cascina
– facente parte del Consorzio Gruppo La Cascina, un colosso
che supera i 200 milioni di fatturato l’anno e vicino a Comunione
e liberazione – che sembra essersi aggiudicata l’appalto
del Centro di Policoro, in provincia di Matera, senza aver nemmeno
depositato presso la prefettura i documenti obbligatori comprovanti
l’idoneità dell’edificio. Sembra però che
i responsabili della società abbiano avuto ben altre carte
da presentare, quali legami e amicizie: negli atti dell’inchiesta
sono finiti nomi come Gianni Letta, il prefetto Mario Morcone, attuale
capo del Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione
del ministero degli Interni, e intercettazioni telefoniche che fanno
capo a Clemente Mastella e al segretario di Stato Vaticano Tarcisio
Bertone, questi ultimi due al momento non indagati. “Un filosofo produce idee, un poeta poesie,
un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce
delitti. Se si esamina da più vicino la connessione che esiste
tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della
società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente
non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale […].
Produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri,
i giudici, i boia, i giurati ecc. […] Il delinquente produce
un’impressione, sia morale, sia tragica, a seconda dei casi,
e rende così un ‘servizio’ al moto dei sentimenti
morali ed estetici del pubblico. […] Il delinquente rompe la
monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva
così questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta
tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo
della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze
produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione
in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la
concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione
del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro
il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione.
Il delinquente appare così come uno di quei naturali ‘elementi
di compensazione’ che ristabiliscono un giusto livello e che
aprono tutta una prospettiva di ‘utili’ generi di occupazione.
[…] Il Mandeville, nella sua Fable of the Bees
(1705), aveva già mostrato la produttività di tutte
le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta
questa argomentazione: «Ciò che in questo mondo chiamiamo
il male, tanto quello morale, quanto quello naturale, è il
grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida
base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni
senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la
vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel
momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe
necessariamente devastata se non interamente dissolta». Sennonché
il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e
più onesto degli apologeti filistei della società borghese”.
(1) Aboliamo le prigioni? Contro
il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale, Angela
Davis, minimum fax
Altri articoli sull'argomento: Crisi
economica? Licenzia l’italiano e assumi l’immigrato
di Davide Corbetta Il
business dei rifugiati politici con
i soldi dei Fondi europei di Davide Corbetta E tu chiamale
Onlus di Giorgio Morale
Leggi altri articoli sui temi: |